
Discepoli del Figlio
di don Silvio Longobardi
Dal Vangelo secondo Luca (Lc 2,41-52)
I genitori di Gesù si recavano ogni anno a Gerusalemme per la festa di Pasqua. Quando egli ebbe dodici anni, vi salirono secondo la consuetudine della festa. Ma, trascorsi i giorni, mentre riprendevano la via del ritorno, il fanciullo Gesù rimase a Gerusalemme, senza che i genitori se ne accorgessero. Credendo che egli fosse nella comitiva, fecero una giornata di viaggio, e poi si misero a cercarlo tra i parenti e i conoscenti; non avendolo trovato, tornarono in cerca di lui a Gerusalemme. Dopo tre giorni lo trovarono nel tempio, seduto in mezzo ai maestri, mentre li ascoltava e li interrogava. E tutti quelli che l’udivano erano pieni di stupore per la sua intelligenza e le sue risposte. Al vederlo restarono stupiti, e sua madre gli disse: «Figlio, perché ci hai fatto questo? Ecco, tuo padre e io, angosciati, ti cercavamo». Ed egli rispose loro: «Perché mi cercavate? Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?». Ma essi non compresero ciò che aveva detto loro. Scese dunque con loro e venne a Nàzaret e stava loro sottomesso. Sua madre custodiva tutte queste cose nel suo cuore. E Gesù cresceva in sapienza, età e grazia davanti a Dio e agli uomini.
Il commento
“Non avendolo trovato, tornarono in cerca di lui a Gerusalemme” (2,45). La parte centrale del racconto evangelico ci permette di accostare da vicino il dramma di Maria e Giuseppe che, dopo una giornata di viaggio, s’accorgono che il figlio non li ha seguiti e cominciano una febbrile e angosciosa ricerca prima tra i parenti e i conoscenti e poi in Gerusalemme dove finalmente lo trovano nel tempio, seduto tra i dottori (2, 44-46). I santi sposi appaiono ancora come protagonisti ma l’attenzione gradualmente si sposta e si concentra su Gesù. Essi pensano di aver adempiuto la legge e s’apprestano a tornare alla vita ordinaria, quel figlio invece chiede loro di continuare il pellegrinaggio. Chi accoglie Gesù non può mai chiudersi tranquillo nella propria casa ma è costretto continuamente a guardare oltre, a cercare quel di più nascosto negli impegni quotidiani. Nel verbo tornare [epistrephein] vi è anche l’idea della conversione: nel Vangelo lucano indica il ritorno gioioso di chi ha incontrato il Signore (i discepoli di Emmaus: Lc 24,33) o di chi ha fatto esperienza della grazia (uno dei lebbrosi guariti: Lc 17,15). Il ritorno di Maria e Giuseppe invece è contrassegnato dall’angoscia (2,48), dalla paura di aver perso colui che è tutta la loro gioia. Essi fanno esperienza della croce, la loro ricerca richiama quella dei giorni pasquali – come si può intravedere nel riferimento ai tre giorni(2,46) – in cui Gesù fu nascosto agli occhi degli uomini. Quando finalmente lo trovano si rendono conto che è molto diverso da quello che pensavano! La sua precoce autonomia non indica una distanza rispetto all’autorità genitoriale – tant’è vero che quando tornò a Nazaret era loro sottomesso (2,51) – ma scaturisce dalla consapevolezza di essere chiamato a tracciare una strada nuova, un nuovo modo di vivere la religiosità che trova il suo vertice e il suo contenuto centrale nel riconoscere la paternità di Dio. Quel giorno Maria e Giuseppe comprendono che il figlio, che fino a quel momento hanno educato nella fede, in realtà è il Figlio di Dio. E accettano di diventare discepoli.
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