Adamo ed Eva

di Assunta Scialdone

Cosa ha in comune con noi la vicenda di Adamo ed Eva?

11 Gennaio 2019

Adamo ed Eva

Il primo uomo e la prima donna si vedono nudi ma non ne provano vergogna. Essi si guardano come Dio stesso li guarda e anche noi possiamo fare lo stesso.

San Giovanni Paolo II dedicò allo studio sull’amore umano una lunga serie di Catechesi che espose nelle udienze generali del mercoledì tra il 1979 e il 1984, i primi anni del suo pontificato. L’insegnamento che ne scaturisce rompe in modo risoluto, sul piano metodologico, con la dottrina tradizionale della Chiesa sul matrimonio e la sessualità. Da cardinale, Wojtyła aveva in mente un libro che rispondesse alle problematiche suscitate, dentro e fuori la Chiesa, dalla pubblicazione dell’Humanae vitae. Ci stava lavorando, quando fu chiamato a Roma nel 1978 per eleggere il successore di Paolo VI. Alla fine di quell’estate sarebbe stato il nuovo Pontefice e non gli sarebbe stato più possibile lavorare alla stesura del libro.

Perché esporre tale insegnamento settimanalmente durante le catechesi del mercoledì? C’è chi ha pensato che la scelta di usare questo insolito canale fosse fatta di proposito perché i media (che avevano trattato violentemente l’Humanae vitae) non erano abituati a prestarvi grande attenzione dato che, in effetti, le udienze generali del mercoledì venivano considerate come un canale per comunicazioni di tipo essenzialmente pastorale e non teologico-dottrinale. Ciò gli permise di esporre in “perfetta tranquillità un insegnamento cui nessuno fece caso” e di inserirlo ufficialmente negli atti della Santa Sede in maniera perenne. Questo intento fu dichiarato solamente alla centovetottesima udienza quando fu svelata l’intenzione avuta fin dal principio. Oggi usiamo le catechesi per parlare agli sposi. Il loro tema, tuttavia, non è direttamente il matrimonio e la famiglia. Il Papa si prefisse la ricostruzione di un’antropologia adeguata ottenuta attraverso la riflessione sulla corporeità. L’antropologia è una disciplina che studia l’essere umano sotto diversi punti di vista: sociale, culturale, morfologico, psicoevolutivo, sociologico, artistico-espressivo, filosofico-religioso e in genere dal punto di vista dei suoi vari comportamenti all’interno di una società. È un modo di descrivere e comprendere l’uomo.

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Il Papa polacco cercò di fornire ciò che all’uomo di allora mancava per capire l’Humanae vitae: un’antropologia, appunto, che fosse base e fondamento per risolvere i problemi coniugali, familiari ma non solo. Un discorso che aiutasse a comprendere perché Paolo VI aveva ragione. Un aiuto offerto all’uomo moderno, per capire meglio se stesso. Perché, in fondo, l’antropologia adeguata è l’esperienza umana, quotidiana, concreta dell’uomo. Attraverso l’esperienza adeguata si può giungere alla conoscenza di se stessi. In questo suo tentativo Giovanni Paolo II rivaluta, in modo innovativo e consapevole, la corporeità. Il corpo parla di Dio, ne svela la bontà e la sapienza. Esso, però, oltre a parlarci di Dio parla anche di noi, dell’uomo, della donna e della loro primordiale (originaria) vocazione all’amore. Si parla in tale senso di Profetismo del corpo. Con queste Catechesi, il Santo Padre ha voluto dire all’uomo chi è, ha voluto mostrargli la verità intera del suo essere, del senso dell’esistenza, alla luce del mistero della creazione e della redenzione.

Qual è il senso della vita di ognuno? Lo stesso Agostino, nelle sue Confessioni, esprime molto bene questo concetto, quando afferma: “Io stesso ero divenuto per me un grande enigma”. L’uomo non può essere paragonato ad una cascata. “La cascata è trascinata dal proprio peso, che la conduce al fiume, per poi, dopo essersi allargata nel vasto delta, finire inghiottita dall’oceano. Per l’uomo questo lasciarsi andare seguendo un percorso già tracciato non è sufficiente. Egli ha bisogno di sapere quale sia il senso, la meta finale verso cui tutto procede e deve comprendere come orientare i suoi passi verso tale meta”.

Gli elementi che servono per comprendere chi è l’uomo vengono ricavati dall’analisi dei primi capitoli del libro della Genesi con particolare riferimento alla solitudine, all’unità e alla nudità. Scopriamo così che, secondo il Papa polacco, l’uomo, nel sorprendersi “solo” (nel giardino di Eden), si manifesta a se stesso come uomo, cioè comprende di essere diverso dal mondo degli animali e dei vegetali e in ciò accade una prima “autodefinizione”. Questo primo livello della scoperta di sé attraverso il corpo, si aprirà poi al secondo elemento: l’unità. La solitudine, infatti, è l’elemento che conduce l’uomo a scoprire non solo la “trascendenza propria della persona”, (essere diverso dal mondo circostante e quindi possedere una dignità superiore) ma anche l’originaria chiamata all’esperienza della communio personarum (comunione di persone: essere uno con Eva) che rappresenta la ragion d’essere della distinzione sessuale tra uomo e donna. Il corpo sessuato gli rivela la naturale complementarietà con l’altro sesso.

Una volta messa in evidenza l’unità duale uomo-donna (essere una sola carne), come dato antropologico originario, Giovanni Paolo II introduce la terza nozione, la nudità, in modo tanto acuto quanto fecondo. Il primo uomo e la prima donna si vedono nudi e non ne provano vergogna. L’assenza di vergogna pone l’uomo e la donna, l’uno di fronte all’altro, come due libri aperti, senza segreti. Essi si guardano come Dio stesso li guarda e anche noi possiamo guardarci allo stesso modo.

Nel suo piano, Giovanni Paolo II apre le catechesi con il brano evangelico di Matteo 19, 3-9. In esso, i Farisei pongono a Gesù il quesito sulla normativa matrimoniale: “È lecito ad un uomo ripudiare la propria moglie per qualsiasi motivo?”. Gesù risponde che Mosè ha concesso l’atto di ripudio a causa della durezza del cuore degli uomini: egli non ha introdotto di sua iniziativa una legge contraria alla volontà di Dio. È Dio e non Mosè, che ha tenuto conto della sklerokardìa, della durezza di cuore, cioè dell’indocilità del suo popolo, inserendo nella legge un precetto il cui scopo è costringere tale cattiva disposizione (la durezza del cuore) a manifestarsi. Si tratta, quindi, di un precetto da non seguire, da non mettere in pratica. Gesù, in questo caso come anche in altri, non viene ad abolire la legge ma a completarla. La sua dottrina sul divorzio non si pone, dunque, contro la legge ma cerca di portarla a compimento: “Non avete letto che il Creatore da principio li creò maschio e femmina e disse: per questo l’uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e i due saranno una carne sola? Così che non sono più due, ma una carne sola. Quello dunque che Dio ha congiunto, l’uomo non lo separi”. (Mt 19, 3-12)

Cosa ha in comune con noi la vicenda di Adamo ed Eva? Cosa dice agli uomini del XXI secolo tale racconto? Giovanni Paolo II cerca di rileggere il principio genesiaco dando profonda unità tra lo stato d’innocenza originaria e quello successivo al peccato originale che in qualche misura coincide col nostro stato. Quel principio, quell’inizio, costituisce i primissimi “tempi” dell’umanità, definiti dal Santo Padre della “preistoria teologica” dell’intera umanità. Essa si differenzia da quella “dell’uomo storico” che troviamo, per così dire, dopo il peccato delle origini. Le origini “precedono” la storia umana; in una certa maniera sono “il tempo prima del tempo” e per noi è difficile farci un’idea della reale situazione dell’uomo in quello stato. La condizione delle origini dell’umanità prima del peccato è per noi irrimediabilmente perduta, ma, dice il Pontefice, ancora ne resta nel cuore d’ogni uomo una fievole “eco”, non appena in esso si faccia una certa purezza. È dunque mediante la purezza del cuore che possiamo avvicinarci un poco alla condizione dell’innocenza delle origini, a quella “preistoria teologica” dell’uomo. Non resta che provare a ricostruire l’originario piano di Dio sull’uomo e sulla donna, lasciandoci guidare dalle parole delle Catechesi del Pontefice.


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