CORRISPONDENZA FAMILIARE

di don Silvio Longobardi

In mezzo ai poveri, icona di Gesù

4 Febbraio 2019

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(Foto: bunyarit klinsukhon / Shutterstock.com)

Oggi la testimonianza di un amico in cui vedo ben rappresentata l’esperienza di una fede che si traduce nella carità semplice e ordinaria, anche se poco conosciuta e talvolta eroica.

Ho un amico che vive la fede a tutto tondo. La sua testimonianza, semplice e umile, è davvero commovente. Passa con semplicità dalla preghiera più fervente alla carità più concreta, sa stare in ginocchio dinanzi a Dio ma sa chinarsi anche dinanzi ai fratelli più poveri, nei quali vede davvero il volto di Gesù. Ha capito che il Vangelo si annuncia in opere e parole e cerca di intrecciare sapientemente questi due registri della testimonianza. Tutto questo nel contesto ordinario della famiglia e del lavoro. Insomma, inno dei santi nascosti che mostrano il volto della Chiesa e – lo dico sottovoce – vivono con una radicalità che talvolta fa vergognare anche noi preti e consacrati.

Ogni tanto mi manda messaggi per condividere alcune particolari esperienze di fede e di carità. Pochi giorni fa ho ricevuto questa breve comunicazione.

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“Ieri è stata una giornata meravigliosa, animare la coroncina, la Santa Eucaristia, dopo la catechesi, in mezzo verso le 20,40 sono andato a trovare un attimo i ragazzi (in realtà si tratta di persone adulte). Ho portato con me un amico che adesso si sta incamminando nel cammino della Fraternità (Fraternità di Emmaus, ndr). Gli ho fatto vedere con i suoi occhi come stanno vivendo questo tragico momento. Conoscendo da lontano i ragazzi, lui mi ha detto: “Mi devo prima vaccinare”. Siamo andati: un autentico tugurio! Li abbiamo trovati con la pala a spostare i calcinacci per poter dormire. Dovevano ancora cenare perché nessuno aveva portato niente. Ho chiesto loro chi porta da mangiare. Mi hanno risposto che se ne occupa un parente che abita nella stessa palazzina. Quando cucina porta un piatto di pasta e patate. Ma quando siamo entrati nel palazzo era tutto spento. Nessuno aveva portato niente. Così ho dato i soldi per comprarsi due pizze e mangiare qualcosa di caldo. Non volevano andare perché avevano paura che altri sarebbero venuti a rubare i sacchi di cemento che, in quel momento, erano tutta la loro ricchezza, dovevano vigilare. Li ho sgridati e sono andati. Anche noi siamo andati a fare la catechesi. San Giacomo ci ha lasciato scritto che prima di andare a partecipare alla Santa Eucaristia bisogna andare a trovare i fratelli nel bisogno, aiutarli del necessario e poi partecipare al sacrificio del Signore Gesù”.

Ho modificato alcune espressioni, il mio amico non ha fatto le “scuole alte”, come si dice dalle mie parti. Ma quel Gesù che ha scelto come suo Maestro lo ha istruito bene sul senso della vita e gli ha permesso di imparare a scrivere pagine di carità ben più importanti di quelle vergate dalle persone erudite.

Nelle parole di quest’amico vedo ben rappresentata quell’esperienza di fede che si traduce nella carità semplice e ordinaria, anche se poco conosciuta e talvolta eroica. Una carità che non viene amplificata dai media ma veste di dignità la vicenda umana. Nessuno si occupa di queste persone che vivono ai margini della vita sociale, nessun magistrato interviene per obbligare il Comune a prendere provvedimenti, nessun politico è mai salito su questa barca sgangherata in cui queste persone vivono in condizioni pietose. Quanti altri si trovano nelle stesse condizioni di quei ragazzi di cui parla il mio amico? Non è giusto alimentare una guerra tra i poveri. Tutti hanno il diritto di vivere in modo dignitoso. Ma proprio per questo abbiamo il dovere di guardare in faccia la realtà della nostra terra per scoprire quelle situazioni in cui la povertà diventa miseria e la miseria, soprattutto quando è condita con l’ignoranza, avvilisce il volto.

Nella continua polemica che riguarda i migranti c’è qualcosa che stona. Anzi, ci sono molti conti che non tornano. La doverosa solidarietà è diventata spettacolo, se ne parla stando comodamente seduti nei talk show, senza muovere un dito. Anzi, l’unico dito che si muove è quello puntato contro gli altri perché non fanno quello sarebbe utile e necessario. Questa solidarietà gridata ai quattro venti mi infastidisce. Come pure mi disturba sentire un’etica che chiama in causa sempre e solo le istituzioni pubbliche. Il mio amico ha segnalato agli assistenti sociali del Comune la miserabile condizione in cui versano i suoi “ragazzi” ma nel frattempo ha aperto il cuore, le braccia e… il portafoglio per rispondere all’emergenza umanitaria. Non potevano aspettare i tempi della burocrazia. A mia conoscenza non ha inscenato proteste.

Amo sognare che un giorno solerti magistrati, dopo aver visitato di persona queste barche sgangherate, abbandonate alle tempeste della vita, siano pronti a denunciare i sindaci inadempienti. Sarebbe il segno che la giustizia è davvero uguale per tutti e l’inizio di una città che si misura costantemente con la solidarietà. Amo sognare che i sindaci, invece di lamentarsi dei pochi fondi, s’impegnano ad evitare gli sprechi ed hanno il coraggio di chiedere ai cittadini a fare la propria parte. Ovviamente dopo aver dato l’esempio.

Mentre attendiamo che questi sogni diventino realtà continuiamo a fare la nostra parte. “Ama il prossimo come te stesso”, dice il Vangelo. Anche più di te stesso, aggiungono i santi. Il mio amico appartiene a questa categoria. 

Don Silvio

 




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