CORRISPONDENZA FAMILIARE

di don Silvio Longobardi

Quando è necessario dire basta in un matrimonio…

18 Febbraio 2019

crisi

In un matrimonio l’umana debolezza può imporsi con prepotenza e produrre danni irreparabili. Gli sposi sono chiamati a lottare e a superare i propri limiti, a condizione però che questo non abbia ricadute negative sui figli.

Lungo gli anni del mio ministero sacerdotale ho ascoltato tanti sposi e porto nel cuore tante storie, alcune sono luminose e commoventi, altre dolorose e attraversate da ombre pesanti. Oggi voglio parlarvi di queste ultime.

Non è sempre facile districarsi nelle vicende in cui l’umana debolezza non solo appare ma s’impone con prepotenza e produce danni irreparabili. Molte volte il male è una catena che passa attraverso le generazioni. Ricordo l’esperienza raccontata da una giovane moglie: il marito si droga, lo faceva anche prima delle nozze e lei lo sapeva, ma ha voluto imbarcarsi lo stesso nell’avventura coniugale, con l’ingenua speranza di poter cambiare quella situazione. Una donna coraggiosa che ha sfidato il male, ha cercato di vincerlo con l’amore. La sua speranza purtroppo non ha trovato realizzazione. Il matrimonio è andato avanti tra separazioni forzate e tempi di riconciliazione. Lui trovava sponda nei suoi genitori che non hanno mai avuto il coraggio di opporsi con fermezza. La donna voleva stare accanto al marito ed era pronta ad ogni sacrificio. Aveva buone ragioni, il matrimonio è una missione. In fondo è questo il prezzo della fedeltà. A condizione però che la vita spericolata del padre non abbia ricadute negative sui figli. In questo caso, i doveri coniugali devono lasciare il passo ai doveri genitoriali. In quanto soggetti deboli e vulnerabili, i figli hanno diritto ad essere tutelati.

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Tante volte, in nome della carità possiamo tollerare il male, non dare peso ai maltrattamenti ricevuti, non sottolineare i continui errori dell’altro. Questa scelta ha il sapore evangelico di chi è pronto a portare il peso del coniuge, fino a dare la vita. Ma se non produce i frutti sperati, se non sollecita cambiamenti significativi, finisce paradossalmente per rafforzare il male. In questo caso, anche senza volerlo la carità può diventare complice della menzogna. Se permettiamo al male di entrare e mettere radici nella casa, gli diamo il diritto di mettere tutto a soqquadro, fino al punto da creare una situazione ingovernabile. In un tale contesto i figli non possono crescere dignitosamente. Il caos è il nemico di una sana pedagogia.

Gli sposi sono chiamati – e moralmente obbligati – ad accogliere il proprio coniuge con tutti i suoi difetti; anzi, sono chiamati a lottare con lui per superare i limiti e gli errori. Tutto questo non vuol dire tollerare il male, di qualunque natura, ma comporta una chiara denuncia in nome della verità. Se necessario, può e deve tradursi in una decisa e ferma presa di distanza allo scopo di favorire un reale ravvedimento. Ad esempio, non è possibile tollerare il tradimento ma è possibile e doveroso accogliere di nuovo chi si ravvede e s’impegna a ricominciare. L’abitudine al male, anche nelle piccole cose, è peggiore del male.

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Il cammino di una coppia di sposi a volte sembra imboccare un vicolo cieco, ad un certo punto si arriva dinanzi ad un muro. Ad uno sguardo umano non c’è modo di superarlo. Gli sposi paiono obbligati a fermarsi, riconoscendo che non ci sono più spazi per continuare insieme il cammino della vita. In questi casi, solo il buon Dio può abbattere il muro, Lui solo può togliere la pietra del sepolcro e riaccendere la fiamma dell’amore. Ci sono vicende in cui proprio la consapevolezza di aver fallito ha permesso agli sposi di consegnare tutto nelle mani di Dio. La riabilitazione coniugale non avviene senza fatica e senza sacrifici ma gli sposi che accettano questa sfida hanno la gioia di veder rinascere il loro amore perché il Padre celeste è capace di far sorgere figli di Abramo anche dalle pietre. Miracoli come questi avvengono continuamente, anche se non vengono registrati dalla cronaca mediatica.




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