Prostituzione

Prostituirsi? Per qualcuno è un lavoro come un altro…

di Ida Giangrande

Legalizzare la prostituzione e offrire così il riconoscimento statale a una delle più odiose forme di sfruttamento femminile. È la proposta del consigliere della Regione Veneto, Antonio Guadagnini. Cosa ci stiamo perdendo?

Il membro del gruppo indipendentista “Siamo Veneto”, consigliere Antonio Guadagnini ha proposto all’attenzione del Consiglio regionale un disegno di legge che, se approvato, arriverebbe a Roma come proposta di iniziativa regionale.

In pratica il Consigliere regionale propone di trasformare le prostitute in lavoratrici autonome come tutte le altre, con il diritto di ricevere il dovuto compenso pattuito, l’obbligo di avere una partita iva e di emettere fattura, pagando le spese sanitarie, previdenziali e ovviamente fiscali. Perché? Una questione di soldi chiaramente.

«Il giro di affari è stimato in 25 miliardi di euro, con 9 milioni di clienti all’anno», fa i conti Guadagnini, come riportato dalla Stampa. «Solo in Veneto il giro d’affari potrebbe essere attorno ai 3 miliardi. Se questi 25 miliardi venissero fatturati ci sarebbero introiti miliardari per lo Stato». La proposta prevede poi che la prostituzione venga riportata dalla strada alle case chiuse, con tanto di apposito albo professionale per le prostitute.

Forse è doveroso ricordare che la prostituzione non può essere una voce come tante altre nel bilancio statale. Perché? Il 95% delle donne che si prostituiscono in Italia non lo fa per libera scelta, ma perché vittime dei un racket e di quella famosa tratta di esseri umani  che alimenta interessi criminali e desideri subdoli.

Lo sottolinea bene anche l’Associazione Papa Giovanni XXIII da sempre impegnata a spegnere le lucciole della notte per riaccendere il faro dell’umanità sul mercato del sesso. «Pensare di fare cassa sul traffico di esseri umani, pensare a uno Stato che lucra sulla terribile piaga del racket è meschino, eticamente inaccettabile e pure incostituzionale», commenta a Tempi.it Giorgio Malaspina, coordinatore nazionale per la Comunità Papa Giovanni XXIII della campagna “Questo è il mio corpo”. «Guadagnini inoltre dovrebbe studiare e aggiornarsi», aggiunge Malaspina. «Legalizzando la prostituzione non si risolve il problema dello sfruttamento. Basta andare a leggersi gli studi fatti in Olanda e Germania, dove la legalizzazione è avvenuta: il problema non è stato risolto, tantissime restano vittime di violenze e abusi. In Germania oltre il 90 per cento delle prostitute non sono tedesche, ma vengono dalle zone più povere dei paesi dell’Est». Sì, perché esiste un sottomercato per tutto come per le grandi firme, anche la prostituzione potrebbe vantarne uno. Se fossi un abituale frequentatore di prostitute mi domanderei perché andare con una quando ne posso avere un’altra a prezzi contenuti? Che sia povera, abusata e sfruttata a chi interessa?

Che cosa sarà di questo disegno di legge non ci è dato sapere, ma una cosa è certa: in tutto questo gran parlare di prostituzione dov’è finito il corpo delle donne? Da chi vuole affittarle per nove mesi per vendere bambini e chi le affitta per qualche ora per soddisfare la sete di sesso di qualche maschietto cosa è andato perduto sul grande piano della riflessione teorica che dovrebbe orientare il legislatore?

In Francia come negli Stati Uniti, è semplicissimo trovare una donna che offra il proprio corpo per portare avanti la gravidanza di qualcun altro. Dietro c’è sempre un compenso, è sempre una questione di introiti. È vero che ciascuno può fare quello che vuole del proprio corpo, ma è anche vero che i soldi si fanno in tanti modi e che una società umana, progredita e civile non dovrebbe lasciare spazi di libertà personali piuttosto ambigui che offendono la vita stessa e la dignità della persona.

Solo negli Stati Uniti sono oltre duemila le gravidanze in affitto portate a termine ogni anno con un costante incremento del 20%. Di queste, circa una su dieci arriva da italiani, con cifre che continuano ad aumentare. Sette su dieci sono eterosessuali, ma ci sono anche coppie gay e uomini single. Una volta stipulato l’affare all’estero, tornando in Italia il rischio è però di incappare in guai legali, anche se recentemente la legge si è spesso pronunciata a favore delle coppie.

Affittare una donna per avere un figlio on demand ha costi diversi a seconda dei Paesi: fino a 120 mila euro negli Usa, alcune decine di migliaia di euro nell’Est Europa, un prezzo che si riduce man mano che ci si sposta negli Stati asiatici del cosiddetto Secondo Mondo. E prezzi stracciati nella sempre più povera Grecia, in particolare nell’isola di Creta.

In altri termini più sono povere meno paghi: mi sembra più o meno la stessa logica della prostituzione di cui sopra. E dato che anche qui si calcolano importanti introiti tra qualche anno ci sarà qualche consigliere che parlerà di legalizzare anche la tratta delle mamme per assicurare benefici allo Stato? Invece di assecondare la domanda di donne a buon mercato da usare per indicibili follie perché non pensare a come recuperare il senso umano delle cose, delle donne e della decenza?




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