CORRISPONDENZA FAMILIARE

di don Silvio Longobardi

Cosa dire a una coppia che ha un figlio con sindrome di Down?

8 Aprile 2019

genitore

Non esiste una ricetta preconfezionata, don Silvio scrive ai catechisti che gli chiedono suggerimenti per come accompagnare una coppia di genitori raggiunta dalla notizia che il proprio figlio ha la sindrome di Down e ricorda che: “Non è vero che questi bambini non possono avere una vita normale. La loro felicità dipende solo dai genitori e dalla loro capacità di amarli senza riserve”.

Cari amici,

siamo davanti ad una mamma che vede la disabilità come un macigno, un muro insuperabile, e si colpevolizza per non aver abortito, pensava che la fede fosse un’assicurazione ed ora mette in discussione anche questo Dio che non ha voluto darle il figlio sano a cui lei aveva diritto. Comprendo la sofferenza di una madre, e capisco che la prima reazione è carica di emotività ma occorre anche aggiungere che le sue parole sono l’eco fedele di una cultura che considera la sofferenza come una malattia e non come un’opportunità; una cultura che per allontanare il dolore, è pronta a buttare i bambini nella spazzatura. Per ora solo quelli non ancora nati ma il futuro è ancora più oscuro e non sarei affatto sorpreso se di qui a qualche anno si arrivi ad un’eutanasia neonatale.

Voi mi chiedete qualche consiglio per accompagnare questa mamma. Non è un mestiere facile dare consigli, soprattutto quando dobbiamo affrontare vicende come questa in cui, pur davanti al dolore legittimo di una mamma, abbiamo anche il dovere di consegnare parole che possono sembrare dure ma sono necessarie per aiutare a guardare oltre.

In primo luogo dobbiamo invocare l’aiuto dei santi perché è una grazia che può venire solo dal Cielo. Trattandosi di un bambino che presenta la sindrome di Down, vi chiedo di affidarvi all’intercessione di Jerôme Lejeune (1926-1994), il noto genetista francese che negli anni ‘50 ha scoperto la causa di questa patologia ed è poi diventato un autentico padre per questi bambini. In effetti, ha dovuto constatare con grande amarezza che la sua scoperta venne utilizzata per attuare una tempestiva diagnosi prenatale e fare poi ricorso all’aborto. Non è solo un grande scienziato ma anche un credente autentico. A pochi anni dalla morte, la diocesi di Parigi ha aperto la causa di beatificazione. Si attende il pronunciamento della Congregazione per la Causa dei santi.

Leggi anche: Jerôme Lejeune, l’apostolo della vita che amava la verità

In secondo luogo, dinanzi all’ostinata chiusura di questa mamma, comprensibile ma forse anche esagerata, occorre una terapia d’urto. Non può vivere in una continua lamentazione. Occorre farle capire che questo bambino c’è e attende solo di essere amato. Se non se la sente di prendersi cura di lui, dovrebbe consegnarlo a chi ha tante riserve di amore da accogliere anche quei bambini malati che non ha generato nella carne. Si tratta solo di una provocazione ovviamente ma serve a darle un messaggio: non è vero che questi bambini non possono avere una “vita normale”, non è vero che non possono essere felici e dare felicità. La felicità di questi bambini dipende solo dai genitori e dalla loro capacità di amarli senza riserve. Peraltro ci sono tante storie bellissime che riguardano i bambini affetti da questa patologia, vicende in cui la forza dell’amore ha davvero compiuto miracoli.

C’è una terza strada da percorrere, quella della testimonianza. La mamma si trova immersa in una stanza oscura in cui non c’è neppure il più piccolo raggio di speranza. Le nostre parole non possono far luce perché, a suo giudizio, non siamo in grado di comprendere il suo dolore. Anzi, è convinta che se fossimo nelle sue condizioni, penseremmo la stessa cosa. È necessario allora incontrare persone che vivono la stessa esperienza. Ecco allora un’altra provocazione: perché non lo chiediamo a loro, cioè alle persone con sindrome di Down? Lo scorso anno ho conosciuto a Lisieux Cristina Acquistapace, una ragazza Down consacrata nell’Ordo virginum. In rete potete trovare diverse cose che la riguardano, anche dei video perché è stata chiamata spesso a portare la sua testimonianza. È bellissima anche la vicenda di Veronica Paccagnello che recentemente ha vinto 4 medaglie ai Giochi mondiali Special Olympics di Abu Dhabi. Da questo punto di vista il web può giocare un ruolo straordinario perché contiene storie che possono aiutarci a guardare oltre.

La vostra provocazione serve a dare una scossa. Questa mamma ne ha bisogno perché rischia di restare chiusa in una camera tutta buia che diventa per lei l’anticamera della depressione. Vi sono persone che, una volta entrate in questa condizione psicologica, non sono più capaci di uscirne. Come uno che inizia a bere. All’inizio sembra un rifugio e forse lo è. Man mano diviene una dipendenza e infine una patologia che può avere anche effetti letali.

Inutile dire che tutto questo fa parte di un cammino graduale e deve essere accompagnato da una comunità che circonda di affetto questa mamma e la sua famiglia. In fondo, prima e al di là delle parole, è questa la carta vincente. Vi saluto e vi abbraccio con affetto.

Don Silvio

 




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