Vita

Quando è il figlio a partorire la famiglia

famiglia

di Paola Bonzi

Una madre, uno zaino e un grembo palpitante di vita, questi gli ingredienti della storia che ci arriva dal Cav della Mangiagalli. Una storia di speranza, di amore ma soprattutto… di vita.

È sabato sera e sto per andare a letto, quando all’improvviso ricevo una telefonata: “Auguri, auguri per una buona Domenica delle Palme e poi ti chiamerò per quelli di Pasqua!”. La riconosco subito. “Rosalie, Rosalie, che bello sentirti! Sono contenta che ti sei ricordata di me!”. “Lo farò sempre, sempre!”.

Rosalie è una delle mie amiche mamme, forse una delle più care, sicuramente la più fedele. Sono passati diciotto anni da quando l’ho incontrata in una giornata umida d’inverno. Aspettava il suo bimbo, allora, aveva solo il desiderio di tenerselo ma non aveva nessuna idea sul come fare o dove poter andare.

Era sola, uno zaino in spalla, la biancheria da lavare e nient’altro. Il padre del suo bambino? Partito, in Veneto dove gli avevano segnalato la possibilità di un lavoro. Lei invece era rimasta con il suo grembo pieno ma ancora invisibile e senza un posto dove andare. A quel tempo avevamo ancora, vicino a San Siro, una casa di accoglienza per le madri sole. Ero riuscita a convincere gli altri amici del Centro di Aiuto alla Vita della necessità di un divano letto in soggiorno, non si sa mai.

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Oggi so molto bene chi è Rosalie, ma allora… Ci penso. “Che cosa faccio?” Mi domando tra me e me, per poi rispondermi subito: “La porterò a casa nostra”. La gravidanza andò avanti e alla fine nacque Nancy. Il suo papà intanto ricominciò a farsi sentire. In Veneto il lavoro andava bene, era piuttosto stimato dai proprietari dell’azienda. Poi un giorno ecco la giovane madre presentarsi da me con una richiesta: “Vorrei far battezzare la mia bambina”. Quale gioia più grande! Trovati i padrini, organizzammo una bella celebrazione e poi la festa nella nostra casa. Mi colpì vedere la tenerezza con cui Patric, il papà della bambina, la guardava e se la teneva stretta tra le braccia. Si era sobbarcato parecchie ore di viaggio per essere presente, senza perdere nessun’ora di lavoro. Qualche tempo dopo mi ritrovo di nuovo Rosalie a colloquio. Questa volta la richiesta è un’altra: “Patric e io vorremmo sposarci, civilmente per ora, visto che lui non è stato nemmeno battezzato. Vorrei che tu e tuo marito mi faceste da testimoni”. Altri preparativi, un bouquet di fresie, un piccolo pranzo. Il tempo non si ferma e nemmeno i nostri sogni, nonostante tutto. E così da quel grembo invisibile eppure palpitante di vita vedevo sbocciare una famiglia. Una famiglia che voleva restare unita e a cui ancora una volta consegnai il mio sostegno.

Cominciai la ricerca di una casa in Veneto. Non fu cosa facile, la diffidenza verso gli stranieri era molta, ma riuscimmo comunque a concludere il contratto per un piccolo alloggio e, tra le lacrime di tutti noi, mescolate ai sentimenti di soddisfazione per il buon esito dell’impresa, partirono tutti e tre, Patric, Rosalie e la loro bambina.

Sono stata felice di apprendere che una nuova gravidanza era venuta ad allietare quella famiglia un po’ di tempo nuovo. Un bambino questa volta, Emanuele. Rosalie aveva trovato lavoro, i bambini errano sistemati al nido e alla scuola. “Ci stiamo trasferendo, c’è l’occasione di un appartamentino da comprare, il lavoro non manca, siamo convinti di farcela”. Tutto andava bene, ma mancava qualcosa. Poi un giorno ecco di nuovo Rosalie che mi dice: “Sai, Patric sta iniziando un cammino di catechesi. Vorremmo sposarci in Chiesa”. Ecco cosa mancava!

Era marzo, quando la vidi apparire sulla porta della chiesa. La sposa più bella che avessi mai visto. E mentre lei avanzava, maestosa, verso il suo sposo che l’attendeva trepidante, io, nascosta tra i banchi, pensavo a quanto magica può essere la vita.




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