CORRISPONDENZA FAMILIARE

di don Silvio Longobardi

“Mio figlio non va a Messa”. Il dolore di una madre

6 Maggio 2019

Santa Messa

(Foto: Di l i g h t p o e t - Shutterstock.com)

Cosa fare se un figlio è lontano da Dio? Don Silvio: “Dare testimonianza è necessario ma non basta. La via della carità deve essere perseguita con coraggio ma non deve far trascurare l’annuncio del Vangelo”.

“Don Silvio,

preghiamo per tutti coloro che sono nel buio della fede… in particolare per mio figlio Gabriele, soffro molto perché è lontano da Dio. Non lo cerca… mai. Non va a Messa, neppure nei giorni di Pasqua. Tutto questo mi rende molto triste. Lo so che l’esempio è importante e so pure che dobbiamo attendere senza smarrire la speranza ma nel frattempo si soffre…”

 

Cara Francesca,

accolgo le tue parole come il grido di una madre che ha fede e dunque non si accontenta di vedere i figli crescere in modo responsabile, diventare adulti, acquisire una professione, entrare nel mondo del lavoro e prepararsi a costituire una famiglia. Tutto questo ovviamente rallegra il cuore di una mamma e tante sarebbero più che soddisfatte, non avrebbero altro da chiedere. A te invece non basta perché una donna credente considera la fede non come un’appendice o un’aggiunta ma un bene essenziale, cioè assolutamente indispensabile. La fede infatti non è qualcosa ma Qualcuno, non consiste nell’andare a Messa ogni tanto ma è quella luce che dona alla vita umana il suo pieno significato. Senza la fede siamo ciechi, siamo costretti a vivere faccia a terra, non sappiamo guardare oltre l’immediato.

Nel tuo grido c’è tutto il dolore di una madre che vorrebbe vedere il figlio pienamente realizzato. Lavoro ed esperienza affettiva sono due elementi importanti ma non sono quelli decisivi, non sono quelli che danno pieno significato alla vita. Trasforma il tuo dolore in un’incessante preghiera per tuo figlio e per tutte le mamme che vivono la tua stessa sofferenza.

La situazione di Gabriele è simile a quella di tanti altri giovani che vivono senza neppure percepire il profumo di Dio, senza avere alcuna coscienza che solo Dio può dare senso alla vita e può dare vita ai nostri giorni. Questa situazione dipende anche da loro e dalle scelte che hanno compiuto. È doveroso però aggiungere che viviamo in un contesto sociale in cui Dio viene totalmente emarginato. Dio non è assente, il brano di Emmaus, che oggi meditiamo nella liturgia, ricorda che il Risorto cammina sulle nostre strade polverose, si avvicina e parla. Ma non sempre la gente se ne accorge, poche volte si mette in ascolto della sua Parola. Ciascuno vive immerso in un vortice di impegni che diventa la sua prigione. Gesù passa ma pochi gli chiedono: “Resta con noi”.

Leggi anche: Qual è il momento giusto per parlare di fede ai bambini? 

Dio non è assente ma questa società fa di tutto per tenerlo lontano e per rendere ininfluente la presenza dei cristiani. Questo avviene nella vita pubblica e nelle istituzioni civili: a scuola non si parla di Dio, nella vita commerciale Dio non c’entra niente, figurarsi nella politica, In pratica Dio non ha niente di essenziale da dire. Tutto questo viene giustificato invocando la laicità dello Stato. In realtà si tratta di una precisa scelta ideologica che fa della ragione l’unica chiave interpretativa del reale. È una scelta profondamente sbagliata che conduce tutti verso il nulla. La nostra società pretende di fondare la convivenza civile su valori che non hanno alcuna forza morale e che, di fatto, non siamo in grado di tradurre in una coerente scelta di vita. Ho l’impressione che anche nella comunità ecclesiale, a volte, non sempre si sottolinea con chiarezza l’assoluto primato di Dio.

Faccio un esempio: nella società attuale dobbiamo registrare un clima di crescente conflittualità, è una situazione che rischia di diventare intollerabile. Tutto questo non mi stupisce affatto perché se non c’è Dio l’uomo fatica a considerare l’altro come un fratello. Avrà sempre paura, sospetto, diffidenza. È Gesù Cristo che ha abbattuto il muro di separazione e permette di amare anche colui che non è affatto amabile. È Lui che dona il coraggio di scommettere la vita sulla relazione, anche quando appare faticosa. Tutto questo dovremmo dirlo con maggiore convinzione. Almeno noi. E invece tante volte leggo analisi sociologiche sofisticate che puntano tutto e solo sulla dimensione antropologica. La fede resta marginale e/o comunque ininfluente. 

Come vedi c’è tanto da fare e da ricostruire. Dovremmo tutti quanti fare di più. Questo vale anche per te. Dare testimonianza è necessario ma non basta. La via della carità deve essere perseguita con coraggio ma non deve far trascurare l’annuncio del Vangelo. Anzi, quest’ultimo impegno oggi appare più importante che mai se vogliamo ricostruire una comunità ecclesiale in cui la fede non resta una pia devozione ma diventa il cuore della vita. Sono convinto che una fede coerentemente vissuta, una fede che si traduce in scelte coraggiose e scomode, diventa una permanente provocazione per i nostri giovani. Lo Spirito Santo farà il resto. Ti abbraccio.

don Silvio




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