Eutanasia: qual è la posizione della Chiesa in vista del 24 settembre?

Convegno 11 settembre

Ieri a Roma c’è stato un momento molto importante di confronto e di riflessione sul tema dell’eutanasia e del suicidio assistito. Chiesa, associazioni cattoliche e partiti politici insieme per scongiurare la deriva eutanasica in Italia.

Roma – Il Convegno organizzato dal Tavolo su Famiglia e Vita che si è tenuto ieri 11 settembre presso il Centro Congresso CEI sarà certamente annoverato tra le pagine storiche della riflessione in Italia sui temi etici. Non tanto per i contenuti, eccellenti e chiari ma soprattutto per la modalità con cui sono stati svolti i lavori. Allo stesso tavolo erano presenti rappresentanti della Chiesa, presidenti di oltre 70 associazioni cattoliche in Italia e tanti parlamentari appartenenti a diversi partiti politici. La scena per un giorno si è ribaltata. I politici sono stati in ascolto di quello che la Chiesa e il mondo dell’associazionismo aveva da dire e poi sono intervenuti. È una metodologia che dovrebbe essere applicata più spesso per un confronto serio e leale. 

Il motivo dell’adunanza è una scadenza che pesa sul collo di tanti malati in Italia e delle loro famiglie. Quella del 24 settembre 2019, data in cui la Corte Costituzionale ha fissato la sua udienza dopo essere stata sollecitata a esprimersi sulla legittimità dell’art. 580 del codice penale (che punisce l’aiuto al suicidio assistito) dalla Corte di Assise di Milano nel processo a carico di Marco Cappato per la morte di Dj Fabo. La Corte Costituzionale ha rimandato per dieci mesi la sentenza in modo da dare al Parlamento il tempo per approvare una legge che disciplini il suicidio medicalmente assistito. In caso contrario la sentenza della Corte diverrebbe difatti una pronuncia tombale. In questo periodo non si è arrivato ad un testo condiviso e ad oggi, a 10 giorni dalla scadenza, c’è una corsa contro il tempo. Il Convegno organizzato dal Tavolo Famiglia e Vita tenta di porre le basi quantomeno per rimandare la decisione della Corte.

I lavori dell’11 settembre

I lavori del Convegno iniziano da una testimonianza commovente, quella di Anna che da anni accudisce il marito Gianni, in stato vegetativo in seguito ad un ictus. Le sue parole sono state chiare, un matrimonio trafitto dalla sofferenza ma ancora vivo. Anna con decisione ribadisce che lei riconosce dal viso del marito i momenti di dolore e quelli di serenità, la sua gioia nel vedere i nipotini o i giorni di intensa sofferenza. “La vita di Gianni è sacra” dice Anna. Ed è proprio così, bisognerebbe dare più spazio a queste storie. Ancora troppo poco si conosce veramente di questi malati e delle loro famiglie. 

La relazione centrale è affidata al cardinale Gualtiero Bassetti, presidente della Conferenza episcopale italiana che davanti all’idea del diritto alla morte quale diritto alla libertà, ha ricordato che la vita, “dal suo concepimento al suo fine naturale, possiede una dignità intangibile“. Nel suo intervento, il cardinale non ha nascosto una certa emozione nel trattare argomenti così delicati, poiché ogni storia è un “pezzo di vita”. Inoltre, Bassetti ha espresso la necessità di esprimere la posizione netta della Chiesa sul rischio di una regolamentazione del suicidio assistito da parte del Parlamento con parole chiare e inequivocabili. 

La pratica dell’eutanasia, secondo Bassetti, qualora regolamentata avrebbe effetti importanti dal punto di vista culturale “poiché il suicidio assistito è inteso dai suoi promotori come un diritto da assicurare a chi sia irreversibilmente malato e come un’espressione di libertà personale”. Davanti a questa scelta, il cardinale si domanda: “In che modo, però, può dirsi accresciuta la libertà di una persona alla quale, proprio per esaudirla, si toglie la vita?” e ha aggiunto: “Da parte nostra affermiamo con forza che, anche nel caso di una grave malattia, va respinto il principio per il quale la richiesta di morire debba essere accolta per il solo motivo che proviene dalla libertà del soggetto. […] La libertà – ha aggiunto – non è un contenitore da riempire e assecondare con qualsiasi contenuto, quasi la determinazione a vivere o a morire avessero il medesimo valore”.

Ha poi ricordato il valore della malattia che “se vissuta all’interno di relazioni positive, può assumere contorni molto diversi, e fare percepire a chi soffre che egli non solo riceve, ma anche dona. Anche per il malato, sottrarsi a questo reciproco scambio sarebbe – lo dico con grande rispetto ma con franchezza – un atto di egoismo, un sottrarsi a quanto ognuno può ancora dare”. Illuminata dalla luce della fede, la stessa vita ha un peso anche quando si è malati, in consonanza con la battaglia di Papa Francesco contro la cultura dello scarto: porta molta consolazione il riconoscere che la vita, più che un nostro possesso, è un dono che abbiamo ricevuto e dobbiamo condividere, senza buttarlo, perché restiamo debitori agli altri dell’amore che dobbiamo loro e di cui hanno bisogno”.

La parola alle Associazioni

La parola poi è stata data alle Associazioni che hanno espresso tutti il proprio pensiero a partire dalla loro esperienza. È stato un confronto lungo e interessante. Io riporto le parole con le quali sono intervenuta a questo consesso a nome della Federazione Progetto Famiglia, di Punto Famiglia e della Fraternità di Emmaus.

“Il 25 ottobre del 2004 presso l’Oasi Betlemme, una delle case di accoglienza di Progetto Famiglia, braccio operativo del movimento Fraternità di Emmaus, è arrivata Chiara, aveva 40 giorni. Fu affidata a Delfina, la responsabile della casa insieme a suo marito Gaetano e ai quattro figli naturali, con una sentenza: “La bambina è anencefalica, la mamma ha partorito in anonimato. Può vivere un anno, al massimo due”. Sono trascorsi 15 anni da quel momento, i medici ad ogni controllo sono quasi stupiti di rivederla. Chiara non si regge in piedi, non può muovere nessun arto, non può camminare, non può comunicare in alcun modo le sue emozioni, non mangia e non beve da sola. Eppure, questa bambina che dipende in tutto e per tutto dagli altri è diventata il motore di questa grande famiglia. “Non è un peso ma un dono. Grazie a lei comprendiamo che la vita e tutto quello che ci sembra normale acquista valore e viene accolto come un dono” ripete spesso Delfina.  

L’esperienza con Chiara ci ha insegnato che a volte la medicina non è una scienza esatta e che una diagnosi infausta spesso non fa i conti con l’amore gratuito e disinteressato di chi circonda queste persone.  “L’amore è prendersi carico degli altri. L’amore è lavoro” ha detto papa Francesco qualche tempo fa visitando una parrocchia di Roma. Purtroppo, storie come queste non trovano spazio sui giornali, altre invece vengono utilizzate per giustificare scelte che hanno un chiaro sapore ideologico.  Perché non dare la parola a quei malati gravi che invece non vogliono morire né chiedono ragioni per vivere ma domandano semplicemente di avere il necessario sostegno economico da parte di uno Stato provvido nel dare la morte ma poco attento alle ragioni della vita? 

Dietro tutto questo c’è una chiara scelta culturale. È lo stesso scenario di quarant’anni fa. Quando fu approvata la legge sull’aborto, si disse che rispondeva alle situazioni più drammatiche, in quel periodo la stampa presentava i casi più pietosi con l’unico scopo di indorare la pillola. Sappiamo bene com’è andata a finire. Quella legge ha contribuito ad anestetizzare la coscienza. Ed è quello che sta accadendo anche in Italia sul suicidio assistito. 

In questo panorama culturale la Chiesa, che è la coscienza etica di un popolo e dell’umanità, è chiamata a intervenire per custodire e difendere la vita perché non sia valutata solo in base a parametri socio-economici. Noi crediamo che la dottrina della Chiesa sul fine vita debba essere rispettata e proposta in tutta la sua ampiezza senza cedimenti di sorta (in modo particolare per quello che concerne l’idratazione e la nutrizione). Nello stesso tempo, come comunità ecclesiale e associazionismo cattolico sappiamo che siamo chiamati ad un intervento serio sul piano etico, che è un livello pre-politico, impegnandoci a fare cultura utilizzando diversi e complementari registri al fine di formare le coscienze dei cristiani su questi temi. Non basta solo organizzare convegni o scrivere articoli. 

Lanciamo l’invito ad unire le forze per elaborare una strategia di comunicazione e di stesura di testi, sussidi, video, capaci di arrivare a tutti e di incidere sulla formazione specie delle nuove generazioni al fine di ricomporre la frattura tra la dottrina e la prassi pastorale. Potremmo dire con San Giovanni Paolo II: “Che cosa c’è di più importante dell’educazione delle coscienze?” (Udienza generale del 17 agosto 1983). 

In ultimo vorremmo ringraziare di cuore per questa opportunità di ritrovarci insieme, in una stessa sala, ognuno con le proprie sensibilità ma tutti con il comune desiderio di dare voce alla dignità della persona. Questa unità che non è uniformità, come dice papa Francesco, va cercata e coltivata con coraggio e lealtà”.




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Giovanna Abbagnara

Giovanna Abbagnara, è sposata con Gerardo dal 1999 e ha un figlio, Luca. Giornalista e scrittrice, dal 2008 è direttore responsabile di Punto Famiglia, rivista di tematiche familiari. Con Editrice Punto Famiglia ha pubblicato: Il mio Giubileo della Misericordia. (2016), Benvenuti a Casa Martin (2017), Abbiamo visto la Mamma del Cielo (2016), Il mio presepe in famiglia (2017), #Trova la perla preziosa (2018), Vivere la Prima Eucaristia in famiglia (2018), La Prima Comunione di nostro figlio (2018), Voi siete l'adesso di Dio (2019), Ai piedi del suo Amore (2020), Le avventure di Emanuele e del suo amico Gesù (2020), In vacanza con Dio (2022).

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