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GENNAIO 2020

Movimento per la Vita

Senza le madri l’umanità sarebbe finita da un pezzo

Pubblicato da adpfp1 il


di Marina Casini Bandini,

presidente del Movimento per la Vita italiano


Quanto è forte il legame tra una donna e il suo bambino? Quanto è importante la capacità femminile di generare la vita per l’intera società? È opportuno che oggi la maggioranza delle donne faccia sentire la sua voce anche in nome dei bambini che fanno nascere rivelando il privilegio femminile. Se questo avverrà saranno molti i vantaggi dell’intera umanità.

Cinque fatti permanenti e non contrastabili provano l’esistenza di un legame speciale della donna con la vita umana. Il primo è un dato statistico. Le donne che non vogliono la gravidanza e che abortiscono sono una ristretta minoranza rispetto a quelle che partoriscono e che comunque desiderano generare figli. Il secondo fatto è ricavato dalla riflessione sulla gravidanza. Essa comporta sempre una grande trasformazione del corpo femminile, qualche rischio sanitario, il cambiamento di abitudini e programmi, il superamento di dolori fisici non piccoli quali si verificano nel parto. Una esaustiva descrizione è riportata nel parere del Comitato Nazionale per la Bioetica “Aiuto alle donne in gravidanza e depressione post-partum” (16.12.2005). Potremmo domandarci se tutti gli uomini sono pronti ad affrontare difficoltà simili per raggiungere uno scopo, ad esempio, superare un esame, trovare un lavoro, ottenere un successo personale. Difficile che qualcuno accetti difficoltà analoghe a quelle che affronta una donna in gravidanza per raggiungere uno scopo qualsiasi, anche se fortemente desiderato. Questo significa che partorire un figlio è un ideale altissimo tipico delle donne.

La meditazione sulla gravidanza fa scoprire un terzo fatto. Il figlio comincia ad esistere e si sviluppa per molti mesi dentro il corpo materno. Questo fatto può essere interpretato come un abbraccio, un abbraccio di una intensità irripetibile quanto a intimità e durata. Abbraccio significa stare stretti stretti e niente è più stretto del corpo della mamma e del figlio durante la gravidanza, tanto che si parla di “dualità nell’unità”. Questo abbraccio riporta – e questo è il quarto elemento – alla relazione di cura dell’altro: si potrebbe dire che il “genio della relazione”, sovente attribuito alla donna, trova la sorgente in quel modello primordiale di relazione che si stabilisce con la naturale ospitalità del figlio sotto il cuore della mamma. A ben guardare ogni autentica relazione di cura (si pensi ai malati, ai disabili, agli anziani) rimanda a quell’accoglienza gratuita e a quel dono di sé che fa appello alla donna quando si annuncia il figlio che vive dentro di lei. Non solo, ma scoperte scientifiche recenti hanno dimostrato che tra i due abbracciati vi è uno scambio di doni, non solo la donna dona calore e nutrimento al figlio, ma anche il figlio dona alla madre cellule staminali che per tutta la vita la rendono più forte e meno aggredibile da alcune malattie.

Questa immagine della gravidanza come abbraccio che implica sacrificio e cura, fa venire in mente la parola “amore”. Si può pensare che l’amore è il timbro impresso sull’inizio della vita umana.

Infine, c’è un fatto non contestabile: senza le donne la società non potrebbe sussistere e non ci sarebbe futuro. Senza le madri l’umanità sarebbe finita da un pezzo e la prospettiva di un mondo migliore sperato per i figli è affidato ai genitori ma soprattutto alle madri.

Un cammino di liberazione

Nella storia, salvo rare eccezioni nell’antichità (matriarcato), la donna ha sempre avuto un ruolo secondario nella società e subordinato all’uomo. Basti ricordare che il diritto di elettorato in Italia è stato attribuito per la prima volta alla donna maggiorenne con il Decreto legislativo luogotenenziale n. 23 del 1° febbraio 1945, “Estensione alle donne del diritto di voto” e che nel Codice civile del 1942 all’art. 143 era scritto «il marito è il capo della famiglia». Solo con la riforma del diritto di famiglia (1975) l’art. 143 è stato cambiato ed oggi vi si legge che «con il matrimonio il marito e la moglie acquistano gli stessi diritti e assumono i medesimi doveri». La strada è stata lunga.

Nell’antico diritto romano, la moglie era sottoposta alla manus del marito e si trovava quindi in una situazione giuridica simile a quella dei figli di cui soltanto il pater aveva la patria potestas. Gaio ha scritto nelle Institutiones: «Feminae vero nullo modo adoptare possunt, quia ne quidem naturales liberos in potestate habent» («Le donne non possono affatto adottare, perché non hanno libera potestà neanche sui figli naturali»). L’inferiorità della donna era persino teorizzata da famosi filosofi con espressioni che suscitano sdegno. Ad esempio Aristotele ha scritto che la donna ha il cervello più piccolo e perciò è un maschio mutilato. Tra i giuristi romani la negazione alle donne dello “ius suffragii” e dello “ius honorum” era giustificata con parole che oggi fanno ribrezzo: «Ignorantia iuris, imbecillitas mentis, infirmitas sexus, levitas animi».

Oggi il cammino di riscatto delle donne può dirsi giuridicamente concluso. L’articolo 2 della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo proclama l’uguaglianza di tutti gli esseri umani senza distinzione alcuna anche riguardo al sesso. Tale uguaglianza è stata confermata nei patti internazionali del 1966: il Patto sui diritti civili e politici e il Patto sui diritti economici, sociali e culturali. Trattati internazionali che hanno avuto come effetto la uguale dignità della donna sono stati la Convenzione dei diritti politici della donna nel 1952 e la Convenzione sulla eliminazione di ogni forma di discriminazione nei confronti della donna del 1979. Il principio è stato recepito in quasi tutte le Costituzioni del mondo. In Italia esso è stato affermato nell’art. 3 della Costituzione («tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono uguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali»). Nella Carta europea dei diritti fondamentali, divenuta giuridicamente vincolante dopo l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona, si insiste molto sull’uguaglianza tra maschio e femmina: all’art. 20 se ne proclama l’uguaglianza, all’art. 21 è posto il divieto di discriminazione, all’art. 23 si precisa che la parità deve essere attuata in tutti i campi: dall’occupazione, al lavoro, alla retribuzione.

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