Cellule miracolose?

di Anna Pisacane

Cellule staminali: due paroline magiche. Ne abbiamo sentito parlare molto nella campagna referendaria sulla fecodazione artificiale svoltasi nello scorso anno e oggi più che mai sono al centro del dibattito biopolitico.

Le cellule staminali sono cellule del corpo umano il cui destino non è ancora “deciso”. Possono originare vari tipi di cellule diverse, attraverso un processo denominato “differenziamento”.

Grazie a questa proprietà, le cellule staminali possono essere utilizzate per riparare organi o tessuti umani danneggiati. Le cellule staminali prelevate dal midollo osseo tramite trapianto, ad esempio, vengono utilizzate da almeno un decennio per curare malattie come le leucemie. Esse si trovano nell’embrione, in alcuni tessuti dell’adulto (soprattutto il midollo osseo), e nel cordone ombelicale. Il campo delle ricerca è più che mai aperto, ma le scoperte mediche con l’utilizzo di cellule staminali hanno portato a dei risultati soddisfacenti solo per quelle ricavate dal corpo umano adulto. Sono 65 le applicazioni terapeutiche già dimostrate nel mondo con le staminali adulte, mentre non c’è ad oggi, dopo 20 anni di sperimentazione sugli animali e 8 sugli uomini, un solo lavoro scientifico che provi l’efficacia di quelle embrionali. Un ultima ricerca,  pubblicata sulla rivista scientifica Stem Cells, è opera di un gruppo di studiosi italiani, coordinati dal professor Giovanni Camussi, docente di Nefrologia all’Università di Torino: nel fegato umano adulto sono state scoperte e isolate cellule staminali pluripotenti, cioè in grado di dare origine non solo a cellule epatiche, ma anche a quelle di altri tessuti: osseo, pancreatico, vascolare.

La differenza tra cellule staminali embrionali e adulte non è solo sul campo medico ma soprattutto su quello etico. Prelevare delle cellule da un corpicino di 8-10 cellule (embrione) comporta la sua morte a differenza di chi non avverte nessun cambiamento avendo un corpo, quello di un adulto, che è formato da milioni di cellule.

Il dibattito odierno

Perché questo accanimento continuo sulle cellule staminali prelevate da embrioni visto che fino ad oggi quelle adulte hanno portato a più che soddisfacenti risultati e il campo della ricerca risulta quando mai aperto a nuove ed entusiasmanti risultati? Qual è il nocciolo recondito della questione che spinge ad escogitare sempre nuove strade per l’utilizzo di cellule staminali proveniente dagli embrioni? Vi è in realtà un sotteso intento di aprire un nuovo mercato, un vero business per i laboratori scientifici. Il 26 Luglio del 2006  il Consiglio dei ministri Europei attraverso una dichiarazione (cfr. box) consente l’utilizzo delle cellule staminali embrionali per la ricerca scientifica anche se c’è un punto fermo, il no al finanziamento delle ricerche che comportino distruzioni di embrioni, ma anche un punto equivoco: il finanziamento alle fasi successive. Un punto che autorizza la sperimentazione sulle cellule staminali prelevate da embrioni crioconservati e quindi non impiantabili.  Il Centro di bioetica dell’università Cattolica, diretto da Adriano Pessina, definisce «contraddittoria» la risoluzione dell’Unione, perché da un lato, impegna il governo a sostenere le ricerche sulle cellule staminali adulte e cordonali, «lasciando così intendere la sua contrarietà rispetto all’utilizzo di cellule staminali ottenute attraverso la distruzione di embrioni umani, dall’altro promuove questa stessa ricerca sugli embrioni introducendo un criterio arbitrario circa la loro vitalità». A rappresentare il governo italiano è stato Fabio Mussi  il ministro della Università e della Ricerca esponente dei DS, che non ha ricusato di ritirare la firma dell’Itala dalla “dichiarazione etica” contro il finanziamento della ricerca che distrugge gli embrioni. Lo stesso Mussi ha dichiarato che «Il Consiglio europeo ha chiuso la porta da un lato e aperto la finestra dall’altro».

Questa decisione ambigua ha portato l’opinione pubblica a ritrovarsi di nuovo  nel mezzo di una disputa che non sempre si preoccupa di dire il vero.  Senza conoscere la vera entità si parla degli effetti “miracolosi” delle cellule staminali che solo una visione oscurantista vorrebbe sottrarre alla ricerca. Certo, quando si parla di ricerca scientifica la stragrande maggioranza delle persone, se non tutte, sono d’accordo nel ritenere che debba mettersi  a disposizione ogni risorsa affinché possa progredire e arrivare alle più alte vette della competenza umana. Se si mette a confronto una blastocisti (embrione di 8-10 cellule) e una bambina sulla sedia a rotelle o un uomo malato di Alzheimer, è evidente che a prima vista tutti consentirebbero alla soppressione del primo a favore degli altri.  Ma non tutti si rendono conto che a confronto sono il diritto alla salute di un malato con il diritto alla vita di una persona umana all’inizio della sua esistenza.

Le vie della menzogna

La dichiarazione del Consiglio europeo di Bruxelles si presta a facili illusioni e apre la via a false notizie per interessi economici. La sfida è quella di trovare una via eticamente accettabile, prelevando un limitato numero di cellule senza intaccare la salute dell’embrione. Si ricerca una via etica all’uso degli embrioni anche se in questo caso lo si danneggia comunque (sempre se questa soluzione non provochi danni irreversibili). La notizia, riportata da un articolo della rivista Nature, è del prof. Lanza, un ricercatore italiano, il quale dichiara di essere riuscito a produrre linee di cellule staminali embrionali da un singolo blastomero, prelevato dall’embrione, a tre giorni dal suo concepimento, quando è ancora costituito da sole 8-10 cellule, senza danneggiarlo. Poteva essere un risultato importante anche per le ricadute bioetiche: nessuna distruzione di embrioni per ottenere cellule totipotenti, anche se riserve morali non mancano neppure in questa formulazione. Ma la rivista Nature poco dopo ha fatto una correzione a questa notizia. Nell’esperimento il prof. Lanza ha impiegato la ben nota tecnica Pdg, (diagnosi genetica pre-impianto) già sperimentata per i test nella fecondazione in vitro (Fivet) e l’embrione non rimane per nulla intatto. Causa della svista, un’ambiguità del testo che lo stesso Lanza ha poi chiarito. «Lo sappiamo bene – spiega Porcu, ricercatrice presso il policlinico S. Orsola di Bologna  –, quando si preleva una cellula l’embrione non è più integro, perché si è dovuta “bucare” la sua protezione esterna, mettendone a rischio lo sviluppo successivo». Curare delle malattie provocandone  altre il cui rimedio il più delle volte è quelle di troncarle è il destino di milioni di embrioni con malformazioni!




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