Dalla parte dei bambini

di Carmela Memoli

Gli incontri di approfondimento organizzati quest’anno a Guardia Piemontese dalla rete sociale “Bambini, Ragazzi e Famiglie al Sud” hanno preso spunto da problemi concreti che riguardano l’affido e l’accoglienza. Primo fra tutti la chiusura degli Istituti prevista entro dicembre 2006.

Dal 25 al 30 giugno si è svolto, nel comune di Guardia Piemontese (CS), il campo scuola dal tema “Accoglienza e Responsabilità”, organizzato dalla rete sociale “Bambini, Ragazzi e Famiglie al Sud”. Essa raccoglie e coordina circa 25 associazioni di volontariato sparse sul territorio dell’Italia Meridionale e del Lazio. Le organizzazioni condividono la passione e l’impegno per le realtà dell’infanzia e dell’adolescenza, e ogni anno s’incontrano per una vacanza-studio. Questi incontri estivi sono diventati un laboratorio intergenerazionale, vivo, partecipato, innovativo che ha rinforzato le esperienze di tutti, a partire dal valore sociale e politico dell’agire educativo e dall’impegno comune a praticare stili di vita improntati alla solidarietà, alla giustizia a alla pace. Quest’ anno il percorso di approfondimento, offerto dal campo scuola, è partito dalla riflessione sui problemi che emergono nel processo di destituzionalizzazione alla luce della scadenza del 31 dicembre 2006 prevista dalla legge 149 del 2001 sull’affido familiare e l’adozione.
Qual è il senso condiviso dalle organizzazioni che confluiscono nella rete? Quale ricerca sorregge il cammino di ognuna?
In questi anni le associazioni hanno cercato innanzitutto di costruire relazioni significative. Si tratta di un patrimonio non trascurabile, da non disperdere. Si avverte il bisogno di incontrarsi, per sostenersi reciprocamente.
Non pensano di possedere certezze da comunicare, né modelli operativi o strategie concertative originali da suggerire. Si propongono innanzitutto di promuovere una riflessione matura sull’accoglienza, a partire dalle esperienze concrete.
La Rete, anche se “leggera”, non è priva di una sua particolare fisionomia. Vi sono alcune parole-chiave che sintetizzano il senso del cammino fatto in questi anni, e che – in qualche modo – possono concorrere a delineare l’identità di essa. Tali parole-chiave fanno riferimento ai temi affrontati nel convegno. Si tratta di temi impegnativi, che esigono una ricerca continua e un continuo discernimento. Come, ad esempio, quello del volontariato oppure quello del radicamento sociale. La riflessione che da anni fanno non prescinde mai dalle condizioni di concreto radicamento nei territori e nelle relazioni sperimentate localmente dai gruppi. Nel confronto con altre reti, questo è un punto sicuramente caratterizzante. L’orientamento comune sembra essere quello del radicamento sociale. Nel quadro di questa prospettiva condivisa, pare si intravedano almeno due tendenze: quella di chi è radicato e però non coglie le trasformazioni che stanno avvenendo sul terreno dell’accoglienza; quella di chi è radicato ed ha capacità di riflettere, di interpretare la realtà. È evidente che bisogna trovare una dimensione politica (non ci si può fermare all’organizzazione della vacanza-studio estiva) e provare a proporla ad altri, cercando di entrare in dialogo con altre esperienze ed altre reti.
In riferimento ai nuovi scenari che si aprono sul tema dell’accoglienza alla luce della scadenza del 31 dicembre 2006, questo incontro a messo in luce che nei territori con le percentuali di istituzionalizzazione più alte, si mettono in atto percorsi di deistituzionalizzazione apparente, che in realtà sono funzionali ad una riconversione solo parziale dei vecchi istituti educativo-assistenziali, dichiarati illegittimi dalla legge 149. In Puglia, ad esempio, gli standard che si vanno definendo in materia di strutture preposte per l’accoglienza di bambini sembrano una copertura per tenere in piedi i vecchi istituti. Recentemente, c’è stato bisogno di una mobilitazione popolare per impedire l’approvazione di una regolamentazione che andava in questa direzione. La pratica dell’affidamento familiare viene incoraggiata sempre di meno, anche nei territori in cui essa appariva ben radicata, come spesso accade in Lombardia.
Un pò dappertutto si va verso altre forme di accoglienza (affido professionale, bed and breakfast, adozione mite, ecc). A questa tendenza – che appare ormai una deriva – si resiste solo in contesti in cui associazioni radicate nel territorio sono riuscite ad incidere più in profondità, anche sul funzionamento delle strutture pubbliche. Nel Coordinamento “Dalla parte dei bambini” si sta pensando di far partire dal Sud un discorso forte sugli istituti e sull’apertura delle famiglie all’affido.
In questo contesto si inserisce il lavoro della Rete inerente alla promozione dell’affido familiare.
La Rete insiste molto sul dato della normalità, intendendo l’accoglienza come dimensione da integrare nella normalità dell’esperienza familiare. Il fatto è che si ha sempre di più l’impressione che la condizione normale delle famiglie in Italia sia quella che coincide con la esposizione di un numero crescente di esse al rischio della vulnerabilità.
La vulnerabilità, inoltre, ha a che fare con le nostre stesse esperienze di accoglienza. In più occasioni, hanno riflettuto sul fatto che l’affido familiare è una esperienza di vulnerabilità condivisa. Non c’è la forza di chi accoglie e la debolezza di chi è accolto. Anche chi accoglie si scopre vulnerabile. Si trova a fare i conti, prima o poi, con i propri limiti.




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