La lettera

Il sogno di una vita

pixabay

di Salvatore Caracciolo

"Sogno di ottenere l’eutanasia": venerdì 22 settembre 2006 Piergiorgio Welby affetto da distrofia muscolare, copresidente dell’associazione Luca Coscioni, così scrive al Presidente della Repubblica, Giorgio Napoletano. Noi di Punto Famiglia abbiamo pensato di risponderlo.

Caro signor Welby,
ci permetta di raccogliere il suo grido che come lei lo definisce non è «di disperazione ma carico di speranza…» e di sperare insieme con lei!
In realtà nelle sue parole leggiamo da un lato il dramma della sua vita dall’altro la capacità di cogliere in profondità la vera essenza: «Io amo la vita… Vita è la donna che ti ama, (…) il sole sul viso, la passeggiata notturna con un amico.
Vita è anche la donna che ti lascia, una giornata di pioggia, l’amico che ti delude. Io non sono né un malinconico né un maniaco depresso – morire mi fa orrore, purtroppo ciò che mi è rimasto non è più vita – è solo un testardo e insensato accanimento nel mantenere attive delle funzioni biologiche». Come può pensare, nel momento stesso in cui pensa e ama di vivere una vita puramente biologica?
Lei dice che le sue non sono parole disperate ma ne cogliamo un senso di rassegnazione: «… penso sempre a come mettere fine a questa vita ». La sua è una condizione oggettivamente gravosa, eppure l’interpretazione che ne dà è puramente soggettiva. Non interpreta il vissuto di tanti che come lei sono ancora felici di vivere!  Elena Marchesi Paino è affetta da sclerosi laterale amiotrofica, mentre la sua mente rimane perfettamente lucida il suo corpo la sta piano piano abbandonando: «Penso che la vita è cosa preziosa ed è dono che va vissuto fino in fondo, in ogni condizione…Penso comunque che, siccome chiedere di morire è qualcosa di definitivo, che non lascia nessuna speranza, non bisogna mai disperarsi così tanto».
La sua è una vita estrema e comprendiamo i sentimenti che l’accompagnano, ma lei ben sa, come anche nella lettera accenna, che c’è una differenza tra l’accudimento terapeutico e l’accanimento terapeutico. C’ è bisogno di una legge che regoli tutte quelle tecniche che si accaniscono contro la morte ma anche che garantisca ciò che è necessario per vivere a ogni individuo, come l’idratazione, l’alimentazione, la respirazione. Lei parla di una vita artificiale, ma guardi che sono ben pochi gli interventi farmacologici o chirurgici che non creano nei pazienti stati fisici o psicologici “artificiali”. In medicina c’è poco di naturale, in questo caso però l’artificiosità è frutto di un uomo che spera, che lotta, che si preoccupa, che cura, che è attento, che ama. Crediamo che convenga con noi nel fatto che bisogna sperare e sognare che venga evitato sia l’accanimento terapeutico,  ma anche il pericolo di un abbandono della cura dei malati negli ultimi passi della loro vita.
Noi non la consideriamo un morto-vivente solo perché il suo corpo non la accompagna più e si fa sentire esclusivamente attraverso la sofferenza. La vita è degna di essere vissuta se acquista un significato, e creda, a noi la sua dà tanto!
«Il sogno di Luca Coscioni era quello di liberare la ricerca e dar voce, in tutti i sensi, ai malati… Il mio sogno, anche come co-Presidente dell’Associazione che porta il nome di Luca è quello di ottenere l’eutanasia». Questi sono sogni di due che come voi hanno la forza di lottare in ciò che credono, ma ci permetta di sottolineare che tra il suo e quello di Luca c’è una sostanziale differenza. Al centro vi sono comunque i diritti del malato, ma se uno ne sperava la sua vita lei ne sogna la sua morte.




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