Oltre ciò che sembra

di Lucia Del Beltempo

Cristiana ci ha dato una vera lezione di vita. Il 25 Marzo scorso a Como, offre la vita per gli altri consacrandosi a Dio nella verginità, ha 33 anni ed è affetta da sindrome di Down.

Una notizia tra le altre nella quale si nasconde una ricchezza umana che merita di essere ripresa. La sua forte testimonianza non consiste nel fatto che una ragazza down abbia scelto di consacrarsi a Dio, ma viene fuori dalle sue parole e dalla sua profonda interiorità: «Chi ha la sindrome di Down non sa fare alcune cose… ma ne sa fare tante altre. L’intelligenza di una persona sta nell’accettare i propri limiti e nel mettere a frutto le capacità che si hanno».

A Cristina piace spiazzare gli interlocutori ricordando che lei «ha qualcosa in più degli altri». Questa ricchezza è custodita nel suo patrimonio genetico: un cromosoma in eccesso nella «coppia 21». Infatti, Cristina si contraddistingue per la sua forza, la caparbietà, la buona volontà. «La sindrome di Down per me non è stata né una maledizione né una benedizione. La considero una prova mandatami per vedere se, nonostante tutto, riuscivo a realizzare una vita completa. È stata una sfida che ho accettato e che mi sprona a dare il meglio di me stessa». Cristina riconosce il suo essere e il suo esistere come un dono, e sceglie di donarsi al suo Creatore: a mio avviso non c’era forma più esplicita della consacrazione per testimoniare la piena accettazione del proprio stato di vita. «Non me la sento di essere felice da sola»: questo è lo spirito con il quale fa la sua scelta. Lei è felice, il suo cuoreè talmente colmo che trabocca di gioia. Cristina, a differenza di tanti suoi coetani ama la sua vita, la vuole vivere nella pienezza.  La sua storia si intreccia con quella di tanti che come lei accettano la sfida della vita e danno il meglio di loro stessi. Un esempio tra gli altri è quello di  Francesco Aglio, ragazzo down di 22 anni, laureatosi all’Università Cattolica di Cremona in Economia Aziendale. Don Oreste Benzi, all’interno dell’associazione Giovanni XXIII, inserisce ragazzi con questo tipo di disabilità in ruoli di tipo “educativo”, perché a suo parere sono quelli che di più riescono a comunicare e a testimoniare l’umanità e il valore della vita.

In realtà, però, noi viviamo in un contesto culturale nel quale ci sono dei criteri che spostano gerarchicamente il “valore della vi­ta” in favore la “qualità della vita”. Questo non lascia il giusto spazio per far esprimere la bellezza di chi si presenta diverso.

Sicuramente la loro vita non è senza difficoltà, ma il più delle volte queste vengono amplificate da un contesto poco accogliente e che non sa rispondere alle tutte le esigenze. E’ Cristina ancora a farci riflettere: «Sono nata nel 1972: allora non c’erano le associazioni che ci sono oggi. Accanto a me avevo soltanto mamma e papà; contro di noi c’era l’ignoranza umana, che però non mi ha affatto condizionato la vita. I miei genitori non mi hanno chiusa in casa né in un istituto. Ho frequentato tutte le scuole, dall’asilo alle superiori; sono sempre stata in mezzo alla gente e ho conosciuto tanti amici». Anche la scienza potrebbe impegnarsi nel sviluppare metodologie giuste in sostegno alle diversità. Oggi invece l’attenzione è rivolta nella direzione opposta. Le moderne tecniche ultrasuono usate durante la gravidanza infliggono ad alcuni bambini il triste destino di non venire alla luce e di non avere la possibilità come Cristina di vivere il sogno di una vita.




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