Una chiesa dentro casa

a cura di Giovanna Abbagnara

L’incontro Mondiale della Famiglie è organizzzato ogni tre anni dal Pontificio Consiglio per la Famiglia in collaborazione con la diocesi scelta come sede e riunisce centinaia di migliaia di famiglie dai cinque continenti per pregare, dialogare e approfondire la comprensione del ruolo della famiglia cristiana come chiesa domestica e avamosto dell’evangelizzazione. Abbiamo incontrato Sandro e Adriana, una coppia della Toscana che ha partecipato a questo evento.

Sandro e Adriana cosa vi ha spinto a partecipare al V Incontro mondiale delle famiglie a Valencia? 
Essenzialmente due cose: condividere con altre famiglie diverse da noi nella cultura e provenienti da tutte le parti del mondo, l’esperienza forte di un incontro con il Santo Padre. E, poi, riflettere, approfondire e confrontarsi su una tematica come quella della trasmissione della fede che ci interpella e ci sfida quotidianamente.
Vorremmo aggiungere che ci ha spinto a partecipare a questo incontro anche la curiosità di incontrare il nuovo Papa, Benedetto XVI, ascoltare dalle sue vive parole il suo amore per la famiglie così come si era manifestato nella sua prima lettera enciclica Deus caritas est.
E quale è stata la vostra esperienza?
Le attese, tutto sommato, non sono state deluse.
Anche se l’organizzazione non ha certamente favorito il dibattito ed ha privilegiato le associazioni e i movimenti a scapito degli sposi delle Parrocchie e delle Diocesi, tuttavia la grande partecipazione delle famiglie e la presenza significativa dei Vescovi, specialmente dei Paesi più poveri, hanno veramente dato la sensazione che fosse rappresentata la Chiesa universale.
Cosa vi ha colpito maggiormente in questo incontro?
Quello che ci ha colpito maggiormente è il richiamo e l’invito a noi genitori a purificare gli atteggiamenti nei confronti dei figli ed avere un grande rispetto per la loro libertà. Noi genitori, infatti – per dirlo con le parole del Santo Padre – abbiamo il diritto dovere “di formare persone libere e responsabili”.
Senza dubbio le parole di Benedetto XVI, di una densità e di una semplicità uniche, hanno costituito le vere perle di tutto l’evento.
L’incontro ha ribadito la centralità della famiglia e il suo ripristino come istituzione basilare per la trasmissione della fede. In un tempo in cui da più parti la famiglia è minata (vedi Pacs…) da dove si deve ripartire secondo voi?
Come famiglie dobbiamo prendere coscienza della nostra identità, accogliere l’invito rivolto più volte da Giovanni Paolo II: “famiglia diventa ciò che sei”; “famiglia credi ciò che sei”. Papa Benedetto XVI a Valentia ci ha aiutato a prendere coscienza della nostra identità; ci ha ricordato che l’essere umano, in quanto maschio e femmina, è stato creato ad immagine e somiglianza di Dio.
Grazie al sacramento del Matrimonio, siamo diventati riflesso dell’amore e della comunione della Trinità e come tali siamo chiamati ad essere segno di questo Amore.
Tradotto nella vostra vita?
In altre parole potremmo dire che siamo chiamati,  nella vita quotidiana, a rivelare il volto di Dio e del suo amore.
Scoprendo la nostra identità, allora, saremo in grado anche di capire la nostra missione: partecipare alla vita della Chiesa e della società.
E la prima ed essenziale forma di partecipazione alla vita della Chiesa è propria la trasmissione della fede ai figli: educarli alla scoperta della loro identità, introdurli alla vita sociale, all’esercizio responsabile della loro libertà e della loro capacità di amare.
Dobbiamo dare un’attestazione credibile della nostra fede attraverso l’annuncio, ma ancor di più attraverso la testimonianza. Solo così i nostri figli potranno essere in grado di elaborare una sintesi personale tra ciò che hanno ricevuto e quello che hanno imparato, per realizzarlo, poi, concretamente nella loro vita.
Nello specifico voi come vivete la vostra fede come famiglia? 
Noi stiamo vivendo da oltre venti anni, nella nostra Diocesi, un’esperienza particolare che ha segnato profondamente la nostra vita coniugale e familiare.
Noi e un’altra coppia di amici nel 1985, per vivere un’esperienza di vita in comune, ci rivolgemmo all’Arcivescovo di Firenze per avere la disponibilità di una casa.
Il Cardinale ci propose una canonica e nell’aprile 1986, tornammo ad abitare nella canonica di una Pieve nella campagna del Chianti che, pur non essendo aperta al culto, formalmente era ancora parrocchia.
All’inizio qual è stata la vostra esperienza?
Durante l’estate cercammo di coinvolgere alcuni  giovani che accolsero l’invito e ci incontravamo per provare i canti per l’Eucarestia domenicale e per stare un po’ insieme.
Così passò l’estate finché a settembre alcune mamme ci chiesero di riprendere il catechismo per i bambini e i ragazzi che dovevano ricevere la prima Comunione e la Cresima.
La comunità parrocchiale come ha accolto la vostra scelta?
All’inizio la comunità parrocchiale ci aveva accolto con molta indifferenza, potremmo dire con una certa freddezza; avrebbero preferito un sacerdote.
Quando, poi, videro che i giovani durante l’estate si ritrovavano nei locali parrocchiali e che, nell’autunno ci eravamo resi disponibili alle loro richieste, la nostra presenza nella canonica cominciò a diventare, in un certo senso, un punto di riferimento per tutta la comunità.
Ci sentivamo, però, un po’ smarriti e soli: non avevamo alcuna esperienza pastorale, l’Amministratore parrocchiale era molto impegnato nell’attività diocesana e, non più giovanissimo, ci invitava a rivolgerci ai sacerdoti più giovani delle parrocchie vicine.
Voi avete due figlie, come hanno accolto la vostra scelta?
All’inizio avevamo qualche timore per le nostre figlie inserite in un’esperienza che le poteva far sentire, talora, diverse dai loro coetanei, specie a scuola. Certamente vedendole oggi impegnate nella comunità parrocchiale non possiamo che ringraziare il Signore per averci chiamato a vivere questa avventura.
Le nostre famiglie di origine, poi,  non capivano fino in fondo la nostra scelta ed anche alcuni nostri “amici” non risparmiarono giudizi e critiche.
Apparve sempre più chiara la necessità di avere un sacerdote con il quale confrontarci, verificare il nostro essere e il nostro operare e lo trovammo in don Giancarlo che, appena ordinato sacerdote, era stato inviato, quale vicario parrocchiale in una Parrocchia vicina alla nostra.
Con lui iniziò pian piano un rapporto di vera e propria collaborazione e corresponsabilità che si espresse nell’accoglienza, nell’amicizia e nel servizio.
Qual è la vostra forza?
In questa nostra esperienza, oltre all’accompagnamento di don Giancarlo, siamo stati aiutati, dai momenti di preghiera, dalla vita sacramentale, ma anche dal cammino che abbiamo fatto con le famiglie della comunità parrocchiale.
Lo scorso anno abbiamo lasciato la Pieve e ci siamo trasferiti nella canonica di un’altra parrocchia per iniziare una nuova avventura.




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