Toc toc… si può?

del prof. Giuseppe Noia

La diagnosi prenatale ha amplificato le conoscenze del modo renatale migliorando nelle coppie, la consapevolezza e la responsabilità nei confronti dl nascituro.

La diagnosi prenatale ha amplificato le conoscenze del mondo prenatale migliorando enormemente, nelle coppie, la consapevolezza e la responsabilità nei confronti del nascituro.

Da un punto di vista scientifico, ha rappresentato un formidabile mezzo di ricerca della relazionalità tra madre e feto. Tuttavia, come tutte le conoscenze di grande valore, ha subito una strumentalizzazione che l’ha allontanata dal vero significato nell’ambito della medicina fetale.

Il problema, quindi, non è la diagnosi prenatale in sé ma è come viene usata questa importante conoscenza.

Uno dei momenti più salienti dell’iter diagnostico diventa ovviamente il counselling sia prima di procedere agli accertamenti sia dopo la loro effettuazione.

Prima degli accertamenti, vi sono livelli etici di considerazione che non possono essere confusi né abusati: dall’indicazione all’effettuazione, la loro utilità diagnostica, i rischi di natura fisica e psicologica connessi sia con le procedure invasive che non invasive.

Dopo l’effettuazione degli accertamenti diagnostici, assume particolare rilievo:

• la modalità della refertazione;

• il come viene presentata la condizione di un’eventuale anomalia fetale evidenziata;

•la prognosi attuale e potenziale;

• la precisazione diagnostica con metodologie rigorosamente scientifiche delle possibilità di cura sia prechè perinatale.

Nell’attuale contesto scientifico, quindi,  non è più differibile un atteggiamento informativo, da parte del medico e del diagnosta, che non sia aggiornato su tutte le implicazioni scientifiche, psico-sociali e medico-legali che la diagnosi prenatale comporta.

Tutto ciò, ovviamente, se correttamente attuato, restituisce al diagnosta la sua professionalità, alla coppia e alle famiglie la giusta consapevolezza per una decisione adeguatamente completa, e al feto la dignità di paziente, al pari dell’adulto per il quale viene  riconosciuto come fatto di dignità umana sia  il momento diagnostico che la successiva terapia.

Nei casi in cui  non è possibile proporre terapie prenatali o post-natali, si può presentare una forma di medicina condivisa che accompagna il feto con anomalie insieme ai suoi genitori fino all’exitus naturale pre- o post-natale.

Le moderne tecniche di diagnosi prenatali se da un lato, infatti, hanno permesso di monitorare il benessere fetale, hanno consentito altresì di attuare procedure che non tendono a migliorare le condizioni di  salute del feto ma piuttosto ad eliminarlo fisicamente.

Sempre più si assiste a numerosi interventi medici che tendono in qualche modo a diffondere ciò che giustamente  viene definita  “eutanasia prenatale”.

Con questo termine intendiamo riferirci a un diffuso modello culturale e comportamentale, che rende, quasi eticamente accettabile, una morte programmata di un “feto terminale” (e per “feto terminale” s’intende una condizione sul piano anatomico-strutturale o sul piano genico-cromosomico incompatible con la vita) .

La caratteristica di queste condizioni è la conflittualità oggettiva di una medicina prenatale che non  avendo la “speranza” della vita di questi feti, conclude “frettolosamente” di “non poter far nulla” e confermando che l’arte medica è ormai irrimediabilmente legata solo ad un sapere tecnico e neutro, senza scavare con gli occhi del cuore e dell’intelletto il profondo universo del soffrire e dell’umanità sofferente.

Questa scienza non “condivide” e quindi non vede al di là del fatto tecnico: non “condivide e non vede livelli di interventi sulla coppia, sulle famiglie, sulle persone che aprono strade nuove con ripercussioni cliniche e scientifiche inimmaginabili.

Chi penserebbe che esistano persone che, pur sapendo che il proprio feto non sopravviverà, scelgono di proseguire la gravidanza sino alla loro fine naturale?

Noi abbiamo esperienza concreta di fatti esperienziali di madri, coppie, famiglie, che hanno fatto questo percorso con una motivazione fondamentale: al di là di qualsiasi connotazione ecografica, clinica o malformativa, il loro feto era ed è il loro “figlio”.

Nessuna realtà al mondo può togliere al bambino questo titolo: essere “figlio”, essere “IL FIGLIO”.




Aiutaci a continuare la nostra missione: contagiare la famiglia della buona notizia

Cari lettori di Punto Famiglia,
stiamo vivendo un tempo di prova e di preoccupazione riguardo il presente e il futuro. Questo virus è entrato prepotentemente nella nostra quotidianità e ci ha obbligati a rivedere i tempi del lavoro, delle amicizie, delle Celebrazioni. Insomma, ha rivoluzionato tutta la nostra vita e non sappiamo fin dove ci porterà e per quanto tempo. Ci fidiamo delle indicazioni che provengono dal Governo e dagli organi sanitari preposti ma nello stesso tempo manifestiamo con la nostra fede che “il Signore ci guiderà sempre” (cfr Is 58,11).

CONTINUA A LEGGERE



ANNUNCIO

ANNUNCIO

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Per commentare bisogna accettare l'informativa sulla privacy.