La coscienza di un popolo

di Silvio Longobardi

La Nota dei Vescovi sulla famiglia e le unioni di fatto ha sollevato il solito polverone: prima ancora che sul contenuto si discute sulla legittimità di un intervento che pretende di vincolare la coscienza dei credenti in una questione di natura politica. Anche nel mondo cattolico vi sono quelli che hanno chiesto espressamente ai Vescovi di tenersi fuori dal dibattito. Gli stessi che, in altre circostanze, criticano il silenzio della gerarchia.

Qui non è in gioco semplicemente la libertà dei cittadini, singoli e organizzati, di manifestare le proprie opinioni. Anche i Vescovi lo sono e hanno questo diritto. È in gioco l’identità della Chiesa. Molti com-mentatori laici, e ahimé anche non pochi cattolici, leggono gli eventi ecclesiali con le lenti del più rigoro-so individualismo, come se la Chiesa fosse soltanto un’aggregazione di singoli individui. Essa è invece una comunità, anzi, per dirla con il Concilio, un “popolo messianico” che ha ricevuto da Dio la missione di es-sere sale della terra e luce del mondo. Un popolo, dunque, che vive in mezzo all’umanità senza smarrire la propria identità, un popolo che conserva una sana libertà rispetto ai potenti di questo mondo e che svolge una significativa e feconda azione critica per orientare il cammino di tutti verso il bene comune.

Al servizio di questo popolo sono posti i Vescovi. Essi non sono padroni ma padri, non arcigni guardiani a difesa di un patrimonio di idee ma sentinelle che rimangono vigilanti per annunciare l’alba e avvertire per tempo dei pericoli che si addensano all’orizzonte. Con la loro parola non si sostituiscono ai laici ma offrono elementi utili per un comune discernimento. Fa parte del loro ministero offrire orientamenti etici per aiutare il mondo cattolico a maturare una coscienza credente che sappia coniugare fede e impegno civile. Possiamo anche discutere sui contenuti della Nota – la comunione ecclesiale non esclude il dissenso leale e argomentato – ma dobbiamo riconoscere che l’intervento dei Vescovi è non solo legitti-mo ma necessario.

L’insistenza (sacrosanta) sulla ragionevolezza dei valori non deve mettere tra parentesi il ruolo della fede. In realtà, dalla fede deriva la capacità di giudicare i fatti senza cedere ai pruriti di un soggettivismo sempre più invadente. Dalla fede riceviamo il coraggio di scendere in campo e di sfidare i luoghi comuni, accettando il dileggio e le persecuzioni. La fede ci dà la coscienza di essere un popolo che crede e perciò opera. Il Family Day non è una manifestazione di forza ma l’espressione di un popolo che vive nella storia e palpita per il bene comune. Se così è, abbiamo già vinto, qualunque sia il suo esito.




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