Madre Teresa di Calcutta

di Gianni Mussini

Firenze, mercoledì 13 maggio 1981. È il giorno della Madonna di Fatima e domenica ci sarà il referendum sull’aborto. Proprio per questo Madre Teresa di Calcutta è venuta a Firenze, in un Teatro Tenda straripante di innamorati della vita che a mani nude stanno combattendo contro le potentissime armate del “potere reale”, come lo chiamava Pasolini. Il potere che ci vorrebbe tutti docili consumatori, soddisfatti fornicatori, molto democratici fruitori delle libertà altrui, compresa la libertà di vivere. E chissenefrega di un feto?

Arriva la notizia dell’attentato a Giovanni Paolo II, l’uomo che con quella sua voce calda e sapiente sa infondere gagliardia tenendo lontana ogni viltà dai cuori. Madre Teresa ha una voce meno fascinosa e anzi sembra proprio una donnina da due soldi. Però ha un’anima d’acciaio, ardente di carità.

Comincia a parlare in inglese per singoli brani sintattici; certo lo fa per favorire la traduzione, ma si direbbe che in lei c’è come una paratassi dello spirito che sa cogliere solo le cose essenziali, anzi l’unum necessarium del Vangelo. Comincia: «Sono venuta qui per condividere con voi la gioia di amare i bambini non ancora nati». Pausa. Ricomincia: «Perché questi bambini, questo piccolo bambino non ancora nato è il bambino di Dio». E ancora: «È stato creato per un grande scopo: amare ed essere amato. Per questo è mio fratello, mia sorella». Infine: «Ora che abbiamo saputo la notizia dell’attentato al Santo Padre, preghiamo per Lui e diciamo insieme il Padre nostro. È questo il modo migliore per testimoniare il nostro amore a Lui che ci ama tanto». Le parole necessarie, le parole perfette.

Madre Teresa andava alla radice. Come quando, lei premio Nobel per la pace, ebbe il coraggio impavido di dire la cosa meno politically-correct che si potesse: «La maggiore minaccia alla pace di oggi è l’aborto. Se accettiamo che una madre possa uccidere suo figlio, come potremo dire agli uomini di smettere di ammazzarsi tra di loro?». Sembra una frase a effetto, magari anche un po’ sgangherata dal punto di vista logico. Eppure il ragionamento era intellettualmente raffinatissimo. Infatti, anche senza scomodare il dogma della Comunione dei santi (secondo cui ogni cosa ha un suo inesorabile significato nell’economia della storia), è sin troppo facile dimostrare come un popolo educato a riconoscere la grandezza irripetibile del più indifeso degli esseri umani, automaticamente sia portato a superare quelle tensioni, quegli egoismi, quegli ideologismi che scatenano le guerre. E viceversa.

L’aborto e la pace. Così come la giustizia, l’uguaglianza, la promozione umana… Tutto si tiene. Non per caso, ma per profonda razionalità delle cose, qualche mese prima Madre Teresa aveva testimoniato – allo Stadio Comunale di Bergamo – con Dom Helder Camara, il vescovo brasiliano innamorato degli ultimi. Titolo dell’incontro: “Progetto uomo: difendere la vita, combattere la fame”. Appunto, chi è dalla parte degli ultimi non può non essere dalla parte della vita.




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