Abbiamo vinto. Insieme

di Emanuela Pandolfi

Intervista a Giovanni Ruggiero, autore di “Abbiamo vinto. Insieme”.

La particolarità del libro è che ha ben due protagonisti, lei e il dottor Ascione. Come è nata l’idea di metter giù queste preziose pagine?
Ci siamo resi conto entrambi che potevamo aiutare le altre persone a continuare a sperare e non disperare. Devo ammettere che inizialmente la parola trapianto la ritenevo fuori dalla mia portata, del resto come lo è per tutti. Ho scritto questa cronaca del mio dolore con molte difficoltà; non è facile essere il protagonista e non l’eroe, poiché credo che l’eroe di questa storia, ancor prima del chirurgo che accompagna con cura il paziente, sia la famiglia del donatore che, nel mio caso, mi ha permesso di avere un fegato nuovo.

Vivere il dolore e saperlo poi coniugare con la passione non è da molti. Secondo lei, quanto contribuisce la vicinanza di una figura medica professionale per riuscire ad affrontare in maniera positiva la malattia?
È fondamentale avere qualcuno che accompagni il paziente sia sul piano medico che su quello umano. La mia è una dura malattia che, successivamente alla scoperta del tumore, ha portato ad affrontare il trapianto e certo non si è esaurito tutto in un giorno, come può accadere per una semplice visita medica. La mia è una malattia epatica che prevede un lungo percorso, per cui tutto consente di stringere amicizia con il proprio medico. Antonio Ascione ad un certo punto era diventato mio amico e compagno di viaggio.

Il percorso compiuto attraverso le corsie ospedaliere e le continue notizie dell’aggravarsi della malattia creano quasi un parallelo con i continui ostacoli che quotidianamente siamo chiamati a vivere anche col nostro animo. Come l’ha cambiata interiormente questa vicenda?
Anzitutto ha fatto rinascere in me una particolare creatività e mi ha fatto scoprire sensazioni che neanche tanti anni di giornalismo mi avevano dato. Dal punto di vista giornalistico, per il fatto che io non abbia risparmiato di raccontare il mio dolore, induce a pormi in modo diverso di fronte alle storie degli altri, con maggior rispetto (più di quanto ne avessi prima).
Quello che invece mi ha toccato più da vicino è stato l’aver scoperto la sacralità del corpo, che mi permette oggi di prestare più attenzione ad ogni gesto, poiché mi sono reso conto di quanto esso sia prezioso. Spesso mi capita di incontrare ragazzi e l’unica cosa che posso comunicare loro è l’attenzione al proprio corpo e la preghiera a non cedere a false lusinghe come l’alcool o la droga. Ciascuno di noi è come una bella statua che, al di là della bellezza esteriore, bisogna custodire come un dono prezioso.




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