il libro

Betania: una dimora per l’amico

di Emanuela Pandolfi

Come in una grande opera teatrale, la nostra vita è fatta di attori principali, interpreti secondari, di tutta una schiera di persone che si alternano sul palco della nostra esistenza. E Colui che ha ideato tutta questa messa in scena, è Egli stesso regista, sceneggiatore ma anche attore, cioè prende realmente parte all’azione.

Inizia così la narrazione della storia di amicizia, condivisione, fratellanza, amore tra Gesù e Lazzaro, che poi è la nostra stessa storia. La storia di ciascuno. Gli autori di Betania: una dimora per l’amico lo hanno ben compreso: “Noi non recitiamo a memoria dei paragrafi già decisi. Dio vuole scrivere la nostra vita insieme a noi; è per questo che non sappiamo quanto possa essere bella, che ignoriamo quanto possa essere geniale.” (p.190). Prima della partenza per gli States, ho incontrato il professor José Granados, uno degli autori.

Come è nata l’idea di trascinare il lettore nella Betania di Lazzaro?

Ci è apparso importante la centralità di un evento, la risurrezione di Lazzaro, e della nuova vita che viene da essa. La famiglia, luogo della vita, riceve così la sicurezza che la vita che si trasmette in essa è chiamata a qualcosa di grande. Il libro non voleva parlare dei problemi della famiglia, ma della bellezza della vocazione familiare, della sua vita e della sua promessa.

Anche Marta e Maria, il Servizio e l’Ascolto per eccellenza, sono protagoniste del libro. Che esempio hannolasciato per la famiglia?

In Betania troviamo Marta e Maria, che nel Vangelo appaiono sempre descritte in rapporto a Gesù. Volevamo così vedere come questo rapporto con Gesù entra nelle nostre case e trasforma anche i nostri rapporti. Gesù non ci ha salvato come individui isolati, ma come persone in relazioni, come figli, sposi, padri e madri. Ha salvato anche i nostri rapporti, ha portato a pienezza le nostre relazioni e, quindi, le nostre famiglie. Ecco perché Betania, la famiglia che accoglie Gesù nel suo seno, ci sembrava un’immagine ideale.

“Non basta uscire dal sepolcro; ora Gesù deve sciogliere i nodi che ci impediscono di camminare”. Quali sono i nodi che oggi una famiglia porta con se e che ha difficoltà a sciogliere?

La famiglia non è luogo di nodi, ma di rapporti, di legami che liberano. I vincoli familiari non ci fanno schiavi, ma al contrario, ci permettono di crescere, ci aprono la strada. Siamo abituati a una visione individualista dell’uomo, pensiamo che legarsi a un altro è perdere l’autonomia e la libertà. Betania vuole insegnarci che il contrario è vero: che solo nei rapporti troviamo lo spazio per essere noi stessi, per agire. I nodi allora, che Gesù deve slegare, è tutto quello che impedisce ai legami di aprire una strada alla nostra vita. Un primo nodo è quello che separa la famiglia vissuta nella società e da quella vissuta nella Chiesa. È un nodo che isola la famiglia, che ce la presenta come una cosa privata, come un luogo per soddisfare il nostro affetto, ma senza connessione con il lavoro, con la vita pubblica. Questo groviglio rende la famiglia sterile, incapace di offrire un contributo essenziale per il bene comune. Ci sono poi i nodi che bloccano i rapporti tra i membri della famiglia, in primo luogo tra gli sposi, ma anche tra genitori e figli. I nodi ci fanno sognare una vita autonoma, ci impediscono di vedere a chi apparteniamo, come la nostra vita è generata da altri e chiamata a generare altri.

Una famiglia come può affrontare queste difficoltà?

Bisogna capire che tutto questo separa l’uomo e la famiglia dalla sorgente dell’amore, da Dio. Essere famiglia è possibile solo se si capisce il legame con il Creatore, la fonte della vita, il garante della promessa d’amore che abbiamo fatto. Ecco che Gesù slega questi nodi, e così fa recuperare i rapporti con la sua forza sanatrice e generatrice. Il modo di togliere i nodi può riassumersi in due parole: grazia e perdono. “Grazia” ci consente di vedere la ricchezza dei rapporti, il suo dono originario e la grandezza di vita che promettono. “Perdono” ci dice la possibilità di raddrizzare la nostra storia, di rinvigorire i rapporti che magari si erano indeboliti.

Secondo Atto, Scena II. C’è il debutto dello Spirito Santo che ha il compito di “mettere in moto la nostra vita, di spingere la nostra attenzione verso Dio”. Penso alle coppie chiuse al dialogo, ai fratelli in discordia, ai consanguinei che si odiano.

Lo Spirito è colui che muove il nostro tempo verso il tempo di Dio. La chiusura, la discordia, l’odio sono forme in cui la nostra storia si ferma, perché s’isola dagli altri. Penso alla mancanza di speranza negli altri, perché crediamo che non possono più cambiare. Penso all’offesa che si è irrigidita e diciamo che non potremo mai perdonare. Quello che lo Spirito fa è aprire la nostra vita verso Dio come origine e fine di tutto e, in questo modo, ci fa capire anche che c’è speranza per i nostri rapporti. Chi entra nel soffio dello Spirito capisce che il rapporto con i fratelli ha una radice molto più profonda dell’offesa che ci separa da essi; capisce che la promessa che abbiamo visto nel nostro sposo o nella nostra sposa all’inizio del cammino è più profonda della colpa che ci separa, perché è radicata in una chiamata di Dio. Ecco che allora si fa possibile un nuovo modo di guardare l’altro, un nuovo modo di vedere e, con esso, si fa possibile il perdono. Chi si apre allo sguardo di Dio percepisce la possibilità di dare un nuovo senso ai nostri rapporti, capisce che c’è una strada di guarigione per essi.




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