Quali sono le priorità

di Silvio Longobardi

Mi scrive una coppia di giovani sposi: non possono avere figli. La notizia arriva come una tegola che sembra bloccare sul nascere l’avventura a lungo sognata, quella di costruire una famiglia. I medici hanno già una risposta pronta: ricorrere alla Fivet o, come oggi si preferisce dire, alla procreazione medicalmente assistita.
Un percorso lungo e penoso, oltre che costoso, il cui esito non è affatto  sicuro. Ma l’alternativa appare ancora più tortuosa e di difficile realizzazione e molti sconsigliano di intraprendere questa strada. In effetti, adottare un bambino è un corsa ad ostacoli. Pochi arrivano al traguardo. Solo quelli che sono pronti ad affrontare con pazienza tutti i passaggi che comporta la complessa procedura, a cominciare da quei colloqui invasivi con operatori pubblici che guardano con pregiudiziale diffidenza gli sposi, arcigni interpreti di una legislazione già abbastanza rigorosa. Non basta. Le coppie che vogliono fare adozione – e cercano quella internazionale per avere una qualche effettiva chance – devono anche avere significative risorse economiche. E la possibilità di assentarsi dal lavoro per un periodo prolungato. Tutte cose che purtroppo non tutti hanno, diritti che nessuna legge garantisce.
Perché nell’agenda politica questo tema è assente? Il dramma umano di questi sposi non interessa proprio nessuno? Perché prima di fabbricare altri figli, attraverso metodi eticamente discutibili e potenzialmente omicidi, non ci preoccupiamo di rispondere alla domanda, spesso drammatica, di quei tanti, troppi bambini, che sono privi di una famiglia? “Francesco mamma, e io?”, disse una bambina di tre anni, quando vide che un suo coetaneo, che condivideva lo stesso orfanotrofio, aveva trovato genitori. Una sorte che a lei era ancora negata.
Pensavo a tutto questo mentre guardavo in differita l’apparizione televisiva – su quella che è stata ormai ribattezzata come Gay Uno – di una coppia omosessuale che racconta la sua storia e denuncia l’indifferenza di uno Stato che li costringe ad andare all’estero per sposarsi. Dunque sono questi i problemi veri dell’Italia? Sono queste le priorità da mettere in prima serata? A guardare la tv di Stato e non, a leggere i giornali, a scrutare i programmi politici, ad ascoltare gli opinion maker sembra proprio di sì. Tutti d’accordo nel sostenere i diritti civili degli omosessuali.
E che dire a quelle coppie disponibili ad accogliere figli, anche se non li hanno generati nella carne, a quegli sposi che sognano di dare amore ai bambini che sono stati feriti dalla vita? E non lo possono fare a causa di una burocrazia che, non potendo misurare il loro capitale affettivo, si limita a verificare il reddito imponibile. Una civiltà che non sa più dare al matrimonio e alla famiglia il suo “incomparabile valore”, per dirla con il cardinale Carlo Caffarra, corre grossi rischi. I cristiani, figli di una Chiesa che custodisce “la memoria dell’essere uomini” (Benedetto XVI), hanno la responsabilità di ricordare ad una sempre società smemorata la grammatica fondamentale della convivenza e di creare le premesse per una credibile alternativa. Per un bene comune che, a parole, tutti vogliono, ma che nei fatti viene smentito da quei diritti che danno riconoscimento solo ai desideri soggettivi.




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