Femminicidio: proviamo a ragionare

Femminicidio uguale violenza sessista. È questa la lettura più comune che troviamo sui media. Un fenomeno in crescita, stando ai numeri che leggiamo sui media. Ho l’impressione però che non si cerca di capire e chi cerca di farlo scomoda la cultura tradizionale (spesso con chiara allusione al cattolicesimo) che ha proposto o difeso un modello culturale che esaltava la superiorità maschile.

A nulla vale dire che il problema del rapporto uomo–donna appartiene alla storia dell’umanità e si presenta ad ogni latitudine. A nulla serve aggiungere che la Chiesa Cattolica esalta il ruolo della donna e la difende da ogni prevaricazione, specie nei Paesi più poveri dove ancora prevale una cultura che penalizza l’universo femminile.

È possibile tentare di ragionare e scandagliare un fenomeno che ha certamente tante e diverse cause? Partiamo da un dato oggettivo: l’Istat certifica che il numero delle donne vittime della violenza è in netto calo negli ultimi anni, erano 192 dieci anni fa, sono state 120 lo scorso anno. La diminuzione non toglie l’angoscia, anche perché sappiamo che la maggior parte di questi delitti avviene a causa di persone legate da vincoli affettivi, proprio quelle che avrebbero dovuto proteggere sono diventate una minaccia, la prossimità è stata spesso la causa immediata della violenza. Ma all’interno di questa galassia vi sono diverse categorie. Vi sono ex mai rassegnati e disposti a tutto, mariti ammalati di gelosia, uomini violenti che sfogano sulla donna la loro libidine o scaricano su di essa le proprie insoddisfazioni. Vi sono casi in cui la violenza emerge con imprevista brutalità e situazioni in cui il previdente allontanamento dalla casa non ha impedito di sfuggire alla vendetta.

La violenza che nasce in ambito domestico è legata alla vicenda affettiva che unisce o ha unito l’uomo e la donna. È la sconfitta dell’amore, l’incapacità di volersi bene e di costruire un legame genera prima una distanza, poi un conflitto e infine sfocia nell’odio. La mutazione dell’amore in odio appartiene alla storia dell’umanità ed è stata sigillata da tanti poemi letterari. È qui che dobbiamo puntare lo sguardo, è qui che dobbiamo intervenire se vogliamo evitare il perpetuarsi di una violenza che, in non pochi casi, l’autore volge anche contro se stesso. Segno evidente di un’angoscia ormai patologica e di una sensazione di fallimento.

La violenza è un istinto, una reazione emotiva, che l’uomo deve imparare a contenere. Un’operazione possibile nel contesto di una cultura che esalta e difende il valore della vita ma resa più difficile in un ambiente che in mille e diverse forme disprezza e cosifica la vita umana. Troppo spesso dimentichiamo che l’aborto è la plateale e violenta soppressione di un innocente. E la Fivet si ottiene attraverso un iter sanitario che mette in conto la morte degli embrioni o che in ogni caso usa gli embrioni come cosa. E che dire di una finanza che insegue il profitto disprezzando e calpestando la dignità dell’uomo? E come tacere dinanzi a industrie che hanno fatto lavorare operai in condizioni che si sono poi rivelate disastrose per la salute? L’uomo sempre più ridotto a cosa. Facciamo bene a condannare la violenza. Ma quella che riguarda le donne è purtroppo solo un frammento di una cultura che ha perso la rotta e non riconosce più il valore assoluto della vita umana e di ogni vita. È questo il punto di partenza se vogliamo vincere questa battaglia. Altrimenti resta solo la triste e debole via della repressione giudiziaria.




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