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Non solo il divorzio

(@ Matthew Benoit - Shutterstock.com)

di Silvio Longobardi

Forse è colpa dei media ma chi segue il dibattito sulla famiglia, in vista del prossimo Sinodo, ha l’impressione che l’unico vero problema che assilla la teologia e la pastorale sia la questione dei divorziati.

A leggere le sempre più numerose interviste vescovi e cardinali si confrontano solo su questo tema. Eppure il questionario che lo scorso ottobre la Santa Sede ha inviato a tutte le diocesi del mondo chiedeva di rivisitare tutta la problematica della famiglia, a partire dal tempo di preparazione al matrimonio.

Tante altre sono le questioni che una parrocchia deve affrontare. Come dare al fidanzamento il suo giusto valore e accompagnare i giovani alle nozze perché possano celebrare con piena consapevolezza quella promessa che sigilla il loro desiderio di unità? Per vincere la crisi non dovremmo amplificare l’opera della prevenzione? Come stare accanto agli sposi nel difficile cammino coniugale per sostenere e consolidare la comunione di coppia? Se manca una pastorale familiare attenta alla dimensione coniugale, il divorzio avrà un peso statistico sempre più rilevante. E la Chiesa sarà chiamata sempre più spesso a ratificare una sconfitta. Come educare a vivere una sessualità libera non dai tabù ma dall’istinto che amplifica in modo unilaterale i diritti dell’io e rende sempre più triste la vita? Come mostrare il valore della procreazione intesa come partecipazione all’opera creatrice di Dio? Prima di demolire l’Humanae vitae, come alcuni chiedono, accogliendo la cultura della contraccezione, conviene forse esplorare i sentieri di quell’antropologia dell’amore e della sessualità che ha fatto della Chiesa un faro di civiltà. La Chiesa è una voce scomoda perché chiede all’uomo di andare oltre se stesso, come ha scritto Papa Francesco nell’Evangelii gaudium.

Il cardinale Kasper, in una recente intervista a Radio Vaticana, dice che abbiamo il dovere di dare “un’applicazione realistica della dottrina alla situazione attuale della grande maggioranza degli uomini, e per contribuire alla felicità delle persone”. Una regola d’oro. Domandiamoci però quali e quante sono le sofferenze che affliggono e appesantiscono l’universo familiare. Penso alle persone che hanno subìto la separazione senza averla mai cercata e che portano con dignità una ferita oltre che il peso di una famiglia. Penso alle famiglie che hanno figli con disabilità e che lottano a mani nude contro il male e la stupidità. Penso ai genitori che devono fare i conti con la morte di un figlio. Penso agli anziani, sempre più soli. Non sono anche queste sofferenze? E non bisogna anche a queste persone portare un messaggio di speranza? Qui non c’è una dottrina da cambiare. Ma è necessario dire una parola forte e autorevole che incoraggi la comunità ecclesiale a mettere in atto una più grande carità.

Va bene parlare dei divorziati ma attenti a non amplificare o assolutizzare questo problema, come se tutti gli altri fossero già affrontati. Attenti a non far passare in secondo piano altri e ancora più gravi questioni che, senza un adeguato correttivo, rischiano di rendere ancora più travagliata l’esperienza familiare. Alimentando nelle giovani generazioni una maggiore diffidenza. Il prossimo Sinodo sulla famiglia è una buona occasione per annunciare che la Chiesa non abbandona la famiglia ed è pronta a spendere le migliori energie per curare le sue ferite




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