social network

Quando il pericolo si chiama social network

(© Kylie Walls / Shutterstock.com)

di Giovanna Abbagnara

Fino a qualche tempo fa, abbiamo dovuto vigilare sulle compagnie dei nostri figli temendo il fumo, la droga, l’alcool quando uscivano con gli amici. Ora il nemico è entrato nelle mura domestiche. Silenzioso compagno di viaggio dei pomeriggi a casa anche quando, spento il computer, si continua ad essere on line sullo smartphone o sul tablet. Stiamo parlando dei social network, vere e proprie piazze virtuali dove i ragazzi si incontrano, si conoscono, condividono spesso false immagini di sé o al contrario lo usano come un diario sul quale sfogare ogni dolore e che troppo spesso diviene lo spazio per facili adescamenti e per episodi di violenza verbali che possono portare anche al suicidio. Additare la rete come il solo colpevole è errato. È ora di svegliarsi dal sonno, di conoscere il nemico e di fare i genitori.

Nadia ha 14 anni e una vita spezzata una domenica mattina. Si è uccisa gettandosi dall’ex Hotel Palace di Cittadella in provincia di Padova. Da una prima rapida ricostruzione dei fatti, un’amara scoperta degli insulti che riceveva in rete su Ask.fm, un social network molto diffuso tra i giovani. Amnesia, questo è il nome che Nadia aveva scelto per comunicare con perfetti sconosciuti su questa piazza virtuale che era diventata il megafono del suo malessere interiore. “Ucciditi”, “Non sei normale, curati. Nessuno ti vuole, nessuno”, “Secondo me tu stai bene da sola!!!!!!!!!!! Fai schifo come persona!!!”, “spero che uno di questi giorni taglierai la vena importantissima che ce sul braccio e morirai!!!!” (citazioni testuali, ndr): sono solo alcuni degli insulti che Nadia riceveva insieme a pesanti allusioni sessuali e proposte oscene, che lei respingeva con battute acide. Offese, giudizi sul proprio corpo, che a 14 anni feriscono più che mai, soprattutto a lei che raccontava orgogliosa di essere riuscita a dimagrire fino a 55 chili. Qualcuno le domanda su Ask.fm: “Qual è l’ultimo libro che hai letto?”. “Il diario di una ragazza suicida (stupendo tra l’altro)” risponde lei. Nadia leggeva e guardava libri e film sul suicidio. Si faceva anche dei tagli sulle braccia e postava le foto sul suo profilo. “Secondo me, i tagli sono tutti delle piccole bocche che gridano aiuto”, aveva scritto lei. Ma gli altri non avevano perso l’occasione per colpirla: “Ti tagli solo per farti vedere…”. Negli ultimi mesi Nadia aveva risposto a 1.148 domande su Ask. Fino a pochi giorni prima dell’atto estremo.

Ma che cosa è accaduto? Che cosa ha portato Nadia, in quella cameretta dove pensiamo che i nostri figli siano protetti dai pericoli, a maturare una scelta così drammatica? Chi non ha compreso e non è riuscito ad alleggerire il carico dalle spalle di questa ennesima vittima di bullismo? È sufficiente sorvegliare superficialmente sulle attività che i figli svolgono su internet? Perché i genitori, oggi così accudenti rispetto a ieri, fanno così difficoltà a comprendere i pericoli della rete? Il prof. Tonino Cantelmi, psichiatra, esperto delle nuove tecnologie e pioniere della riflessione sui rischi e sui pericoli cui sono sottoposti i ragazzi oggi, ha risposto alle nostre domande, evidenziando un dato inquietante: i genitori hanno perso la capacità di trasmettere narrazioni di senso, valori alle nuove generazioni. Si preoccupano che i figli hanno tutto il necessario e anche di più per il vestiario, l’ultimo modello di cellulare, si assicurano che frequentino i corsi di inglese, di chitarra, di danza, che facciano viaggi all’estero e che abbiano buoni voti a scuola. Ma troppo spesso dimenticano di inserire in questa agenda sempre più piena, un tempo per fermarsi con i figli, parlare con loro, vedere un film insieme, condividere una passeggiata al parco. E così, troppo spesso, le domande che si portano dentro vengono affidate alla rete e le risposte che arrivano sono inquietanti.

Professore ci chiarisca bene in cosa consiste il cyberbullismo.
Il cyberbullismo è una forma di violenza tra pari assai crudele: denigrare, offendere, attaccare qualcuno attraverso un social è davvero feroce. L’autore della violenza sferra un attacco micidiale utilizzando uno strumento troppo potente. Il cyberbullismo fa male, perché ha un numero incalcolabile di spettatori, perché è praticamente impossibile contrastarne la diffusione virale, perché è imprevedibile nei tempi e nei modi, perché è decontestualizzato, perché la vittima sperimenta un’impotenza straordinaria.

Che cosa spinge alcune vittime di cyberbullismo ad atti estremi come il suicidio?
È soprattutto l’impotenza che fa soffrire la vittima, unitamente al senso di prostrazione dovuto al fatto che teoricamente gli spettatori (e dunque l’efficacia dell’aggressione) sono pressoché incalcolabili. È davvero difficile reagire all’insulto telematico, difendersi, renderlo innocuo.

Perché i ragazzi sono così attratti dai social network?
Perché questa è la società dove ciò che conta è rappresentarsi: per gli adolescenti di oggi essere popolari non è legato al possedere competenze o sapere, ma è legato alla capacità di rappresentarsi. Si chiama narcisismo digitale: in una recente indagine che ho condotto, la quasi totalità dei bambini e degli adolescenti sogna di partecipare ad un casting per una qualche trasmissione. Rappresentarsi, avere ammiratori e spettatori, collezionare like è la nuova forma del successo.

Il 95% dei ragazzi possiede un profilo su Facebook, piazza virtuale di adescamenti facili. Perché Facebook è pericoloso?
Facebook non è di per sé pericoloso. Lo ritengo un social che esalta il narcisismo. Tuttavia in generale la socializzazione virtuale è volta a fare amicizie e conoscenze. La tecnologia digitale abbassa la soglia del pudore e della riservatezza: diventa difficile distinguere il privato dal pubblico, così si dicono cose che non diremmo in contesti reali e si accettano amicizie e avventure che non accetteremmo nella realtà.

Oltre il cyberbullismo, questi social favoriscono anche varie forme di sexting, cioè di uso erotico del social. Quali sono i rischi di questo uso?
La cortocircuitazione erotica, sessuale e perfino pornografica della relazione ha una vittima: la capacità di costruire autentiche intimità. I ragazzi sono troppo precocemente vittima di una forma di ipersessualizzazione che li rende più inabili nel costruire relazioni intime autentiche

I genitori sembrano i grandi assenti. Sono incapaci di comprendere il mondo virtuale dei propri figli o ignorano i pericoli cui essi sono sottoposti?
I genitori spesso sono adultescenti: cioè adulti che vivono ancora temi irrisolti tipicamente adolescenziali. Hanno perso la capacità di offrire ai giovani narrazioni di senso, assetti valoriali, visioni del mondo e del futuro. Sono troppo presi da se stessi e poco capaci di essere-per.

Come allora possono aiutare i loro figli?
I genitori debbono ritrovare il coraggio: i genitori adultescenti sono buoni, accudenti e affettuosi con i loro figli, ma hanno paura di trasmettere idee, punti di vista, visioni. In altri termini hanno smesso di offrire ai figli il frutto della loro esperienza umana, delle loro lotte, dei loro ideali. Ecco, noi genitori siamo chiamati ad avere coraggio e a riempire l’enorme vuoto nel quale sono precipitate le generazioni di oggi.

Ecco i dati
Il 60% dei ragazzi in Italia è online tutti i giorni (o quasi) con una durata di connessione media di 2-3 ore al giorno. Di questi il 57% (età compresa tra i 9 e 16 anni) ha attivo un profilo di social network, ma la conoscenza e l’uso di accorgimenti tecnici per le impostazioni di sicurezza e privacy è relativamente basso: solo il 21% dei genitori predispone filtri e blocco ai siti e di questi solo il 15% tiene traccia della cronologia dei siti web visitati. I social network rappresentano la modalità d’attacco preferita dal cyber bullo (61%), che di solito colpisce la vittima attraverso la diffusione di foto e immagini denigratorie (59%) o tramite la creazione di gruppi “contro” (57%).




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