genitori e figli

Autostima

(@ Sunny studio - shutterstock.com)

di Tonino Cantelmi

La mamma ha appena finito di sistemare la spilletta in testa, e soddisfatta, si discosta un po’ per rimirare l’effetto: «Sei proprio carina! Vai a vedere quanto sei bella!». Isabella non se lo fa ripetere due volte, si gira, comincia a correre, supera con due balzi lo specchio a muro che sta in ingresso e va diritta da papà: «Papà, guarda quanto sono bella!».

La bambina, per eseguire il suggerimento della mamma, invece di andare a specchiarsi in ingresso, potendo così valutare da sé l’effetto della mirabile acconciatura della mamma, ha preferito andare dal padre, per vedere l’effetto che faceva su di lui. Come mai? Secondo noi, il motivo è da ricondurre all’autostima e al diverso modo di viverla che hanno i maschi e le femmine.

L’autostima è comunemente definita come il senso che un individuo ha del proprio valore. Alti livelli di autostima sono stati associati con una migliore capacità di coping, emozioni positive, stabilità emotive e un miglioramento generale del modo di percepire la vita (M. W. Baldwin, J.R. Bacchus, G. M. Fitzsimons, Self-Esteem and the Dual Processing of Interpersonal Contingencies). D’altra parte la bassa autostima è stata collegata a una serie di problemi emotivi e comportamentali come depressione, sviluppo di disturbi alimentari (E.A. Courtney, J. Gamboz. J.G. Johnson, Problematic Eating Behaviors in Adolescens with Low Self-Esteem and Elevated Depressive Symptoms).

Si capisce bene, quindi, come la concezione del proprio valore sia importantissima per un individuo, ma sia anche molto importante per la sua salute mentale, il modo di affrontare il mondo e di approcciare le relazioni. Secondo la letteratura scientifica ci sono delle differenze tra maschi e femmine riguardo a determinati aspetti dell’autostima. In generale è stato dimostrato come maschi in adolescenza hanno un più alto livello globale di autostima rispetto alle ragazze (K.C. Kling, J.S. Hyde, C.J. Showers, B.N. Buswell, Gender Differences in Self-Esteem: a Media Analysis) e che, più specificamente, ci sono differenze significative in alcuni domini dell’autostima. I maschi, ad esempio, hanno un punteggio maggiore se si considera la soddisfazione di sé e stima di sé, misure nelle quali vengono prese in considerazione il proprio corpo e le relazioni con gli altri, mentre le ragazze ottengono migliori risultati quando viene presa in esame la concezione morale ed etica di se stesse e la considerazione di sé riguardo alla condotta comportamentale e a quanto sia socialmente accettabile (B. Gentile, S. Grande, B. Dolan-Pascoe, J.M. Twenge, B. Wells, Gender Differences in Domain-Specific Self-Esteem: a Meta-Analysis). Le ragazze, proprio come la bimba, sviluppano la concezione del proprio valore basandosi sulle risposte degli altri e sulla relazioni che hanno con gli altri, mentre l’autostima dei ragazzi ha il suo baricentro sulla percezione delle qualità personali. Un maschio, esortato dalla mamma a vedere quanto era bello, sarebbe andato molto probabilmente davanti allo specchio. Inoltre, uno studio giapponese ha cercato di tracciare quali possano essere le differenze a livello neurofisiologico che possano sottendere le differenze nell’autostima e ha rilevato che, rispetto ai maschi, le femmine memorizzano in modo più radicato anche le associazioni incongruenti come parte del loro schema di sé, e tali associazioni attivano automaticamente le reti neurali per la risposta emotiva e di controllo, in cui la corteccia prefrontale ventromediale, attiva nelle donne e non negli uomini, svolge un ruolo centrale. Questo potrebbe spiegare femminili tratti cognitivi e comportamentali tipici, come il fatto che le femmine hanno la tendenza a rimuginare più spesso dei maschi, e che questo si traduce a volte in effetto negativo di prolungamento degli stati emotivi negativi. Se si fa un apprezzamento fisico negativo a una ragazza, ci penserà su probabilmente per molto più tempo di un ragazzo. Se si svilisce o disconferma una figlia, gli effetti possono essere prolungati e la tristezza perdurare.

Da Educare al femminile e al maschile
(Tonino Cantelmi – Marco Scicchitano), pp. 76-79




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