Educazione

Maternità e paternità, la ricchezza della diversità

di Giovanna Pauciulo

L’immagine del padre è sempre più una fotocopia della figura materna: in nome della simmetria tutto è fatto da tutti. Bisogna vigilare affinché ciascuno abbia la possibilità di essere se stesso, per educare a due voci. Una materna ed una paterna.

Paternità e maternità, termini ed esperienze desuete per alcuni. Per coloro che utilizzano le etichette di genitore 1 e genitore 2, ad esempio. C’è da chiedersi a chi spetterebbe il numero 1 e a chi il 2. Forse è indifferente, in un clima di confusione generale dei ruoli, dove la funzione genitoriale si ritiene necessaria, ma da chi questa sia esercitata è indifferente. L’importante – secondo questa impostazione – sarebbe riconoscere la figura genitoriale, intesa come qualcuno che si occupa dei bambini e non gli faccia mancare il necessario. Ma che cosa è necessario per un figlio?

La presenza o meno del padre non è indifferente, così come quella della madre. Lo sanno bene le famiglie monoparentali, i nuclei costretti al genitore unico da eventi a volte drammatici. Bisognerebbe dire con più franchezza che più che la valorizzazione del  ruolo genitoriale si sta generando una confusione tra i ruoli, con il tentativo di appiattire la diversità tra la funzione paterna e materna a discapito ovviamente di quella paterna. Ecco perché assistiamo a quel processo che porta tanti padri a poter essere chiamati “mammi”.

Una differenza non solo biologica. Un figlio nasce dall’incontro di un gamete maschile con uno femminile, lo spermatozoo e la cellula uovo, e questo dato biologico sintetizza il bisogno educativo, perché la pienezza, la totalità di umanità  sia trasmessa abbiamo bisogno del maschile e del femminile. Nella complementarietà del loro essere personale si trova la risposta all’esigenza di crescere che ha un figlio. La caratterizzazione sessuale non è una definizione anatomica, è un modo di essere. Ogni cellula del corpo maschile rivela la mascolinità e viceversa ecco perché ciò che può fare ed essere un padre non lo può fare/essere la madre e viceversa.

Invece, troppo spesso prevale una visione neutra: la differenza sessuale non ci fa più genitori differentemente e le figure parentali diventano intercambiabili (i genitori), come se fosse superfluo ragionare in termini di posizioni diverse di madre e padre, di femminile e maschile. Anche in questo caso dovremmo imparare dai bambini piccoli, che già nelle prime settimane di vita, come confermano ormai molte ricerche, distinguono tra corpo/voce femminile e corpo/voce maschile, tra stili di contatto diversi della madre e del padre, e sanno precocemente riconoscere la prima differenza che ci fa umani, quella sessuale. La differenza tra materno e paterno non è diseguaglianza, ma diversità. E nella diversità c’è pienezza, ricchezza.

Credo che non ci sia esperienza più impegnativa per un genitore che quella che lo fa scoprire di essere “guardato a vista” dal figlio. Chissà quanti teneri episodi ogni genitore ed educatore custodisce di quando si è accorto che il figlio ha agito/si è comportato/ha detto imitandolo, e questo accade in tenerissima età.

Basti pensare al gioco infantile del “far finta” con cui i bambini, maschi e femmine, rappresentano di preferenza i comportamenti familiari, dimostrando così di aver sviluppato un precoce interesse per le “memorie familiari”. Il gioco inizia quando un bambino/a, in gruppo con altri bambini fra i 3 e i 6 anni circa, per esempio alla scuola materna, pronuncia la frase: “Giochiamo che io sono la mamma e tu il papà” (variante: “Facciamo finta che io sono la mamma e tu il bambino”). La scelta può essere sinonimo di rapporto privilegiato e se osserviamo i nostri figli giocare potremmo vedere dei fotogrammi di come svolgiamo la nostra funzione.

L’emergenza educativa. Cosa inchioda i genitori alla loro responsabilità rendendoli consapevoli della loro funzione? La domanda sull’emergenza educativa non riguarda i figli, riguarda i genitori. Si riferisce a ciò che i figli vedono o sentono dal primo istante della loro vita, fin dal pancione. Domandiamoci cosa ascoltano i nostri figli. Cosa vedono?

Nella cultura artistica ed iconografica è più frequente trovare immagini di “maternità”, della madre con il bambino, che quelle di paternità. Nell’immaginario collettivo e anche psicoemotivo il rapporto originario madre/figlio è fondante, non lo è altrettanto il rapporto con il padre, ed è vero che siamo tutte e tutti “nati di donna”. È una realtà incontrovertibile, ed è anche vero che tradizionalmente siamo stati abituati ad affidare lo scettro educativo alle donne/madri, non senza l’assenso dei padri che riconoscevano una maggiore perspicacia alle donne.

È ancora più necessario e urgente indagare e individuare le specificità del maschio nella relazione amorosa ed educante con il proprio figlio/figlia. Un figlio ha bisogno di un padre e di una madre che sono se stessi e che si propongono a lui come testimoni nella totalità del loro essere, compresa la dimensione sessuale che spesso viene ritenuta insignificante.

Paternità e maternità. Paternità e maternità sono due modi diversi e complementari di vivere la responsabilità educativa: ciascuno ha uno stile, un timbro, una peculiarità. Insieme si contribuisce a fare della famiglia un’esperienza pienamente umana. Questa verità, tuttavia – in apparenza così evidente fino al punto da essere scontata oggi – risulta assai incrinata.

Solo qualche decennio fa era presente una rigida individuazione dei ruoli tra il maschile e il femminile, con inevitabili ripercussioni nei ruoli paterni e materni all’interno del nucleo familiare.

La madre aveva la funzione affettiva dell’accudimento familiare, il padre rappresentava le regole, il codice etico. Il padre rimaneva più distaccato dalla vita familiare, considerava la nascita un evento relativo al mondo femminile ed era occupato a procurare economicamente il necessario per poter sostenere la famiglia. La donna non richiedeva all’uomo un impegno per le cure dei figli, ma si aspettava da lui un riconoscimento per aver adempiuto al suo compito.

Oggi sia per necessità – non ultima l’assenza della donna a causa del lavoro – che per maggiore consapevolezza, il padre diventa più partecipe dell’intero processo procreativo. Abbiamo quindi un padre più attento e vicino affettivamente alla donna ed al figlio, già dalle prime fasi della gravidanza e una flessibilità dei ruoli tra padre e madre. Questa vicinanza oggi è la condizione buona perché ciascun genitore si definisca nella propria funzione materna o paterna, e deve diventare un invito ad essere di più e meglio se stessi.

Una rilettura dei ruoli. Vi è senza dubbio la possibilità di ri-definire le funzioni  educative, liberandoci dai condizionamenti di un passato ancora troppo presente, ma vi sono anche i rischi di cadere in nuovi schemi culturali e pedagogici che invece di valorizzare l’identità di ciascuno favoriscono una soffocante omologazione. Non a caso, l’immagine del padre che oggi acquista diritto di cittadinanza sembra una fotocopia della figura materna. In nome della simmetria tutto è fatto da tutti. Occorre, dunque, vigilare per dare a ciascuno la possibilità di essere se stesso pur in un contesto in cui la relazione coniugale non è più pensata nella logica gerarchica ma in quella della piena integrazione.


Tra maschile e femminile vi sono molte diversità, tra queste secondo Carmine Ventimiglia vi è questa: «Le donne costruiscono comportamenti, responsabilità, la stessa configurazione dei set normativi e del loro rigore, a partire prevalentemente dal contesto della relazione, mentre gli uomini lo fanno a partire prevalentemente dai principi, dalla salvaguardia delle norme spesso indipendentemente da e a scapito dei rapporti». La donna investe dunque maggiori energie nella vita relazionale, in questo ambito esprime maggiormente se stessa. Questa attitudine determina, rispetto a quello dell’uomo, un modo sostanzialmente diverso di vivere la dimensione familiare e genitoriale: nella scelta delle priorità come nella gestione dei conflitti. Per questo fin dall’inizio la maternità si manifesta come relazione e si esercita anzitutto attraverso un adeguato potenziamento dei legami affettivi. La paternità invece appare più legata alle norme, richiama i valori di cui la famiglia è nello stesso tempo depositaria e mediatrice. Ed in questo senso che diviene espressione dell’autorità. Modi diversi e complementari di vivere l’unica e identica vocazione della genitorialità.




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2 risposte su “Maternità e paternità, la ricchezza della diversità”

I genitori nel loro ruolo non devono sovrapporsi, ma essere persone in cammino,testimoni d’Amore.Solo cosi’,con il nostro esempio potranno apprendere cio’ che e’ necessario per loro.

Penso che chi crede ancora nella coppia formata da maschio e femmina, l’unica che riesce a generare i figli nella carne, deve con tutte le sue forze combattere l’ideologia del gender, che vuole confondere solo le idee e promuovere la cultura dell’omosessualità. La mia non è una critica contro gli omosessuali, ma voglio solo dire che le coppie di omosessuali devono farsi la loro vita senza contrastare la vita delle coppie eterosessuali. Le coppie omosessuali devono essere consapevoli delle loro scelte e delle conseguenze che derivano dalla loro relazione: impossibilità di generare nella carne un figlio, difficoltà nell’educazione, ecc. Mi chiedo: perchè le coppie eterosessuali e quindi la famiglia tradizionale si deve conformare alle esigenze delle coppie omosessuali? Se vivere una relazione omosessuale è normale perchè scardinare la relazione eterosessuale? Guadate coppie omosessuali che senza le coppie eterosessuali, si rischia una seria estinzione del genere umano, a meno che non ricorrete a qualche escamotage, come l’inseminazione eterologa. Che tristezza diventare figli in questo modo e soprattutto scoprirlo quando si diventa grandi.

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