Educare alla fede

Genitori: la buona volontà non basta

Educare alla fede

di Giovanna Pauciulo

Dalla prospettiva dei genitori, che cosa significa educare alla fede? È la famiglia il primo nucleo in cui si respira la bellezza del Vangelo. Il problema è che esistano le famiglie. E la famiglia è generata dal matrimonio. Esistono veri matrimoni?

La fede non è una teoria, una ideologia, non è la comunicazione di precetti, di norme morali, non è l’ossequio di rituali e gesti devozionali. La fede è un messaggio di salvezza, è un evento concreto, è l’incontro con la persona di Gesù Cristo, morto e risorto, un incontro che da solo dona significato pieno alla vita, ne definisce la destinazione ultima mentre ne descrive l’agire e la norma comportamentale. Quando l’incontro diventa familiarità, quando cioè permettiamo alla fede di essere la luce che oltre a dare senso aiuta ad interpretare i fatti della vita, quando dona sapore ai rapporti personali, motiva e orienta le scelte, ecco allora la vita di una persona non dice la fede ma ne diventa una testimonianza credibile, è la persona che diventa il testimone credibile.

Alla preghiera del Regina Caeli della Terza domenica di Pasqua, papa Francesco si è domandato chi è il testimone e ha sottolineato che “vedere, ricordare e raccontare sono i tre verbi che descrivono l’identità e la missione del testimone”. “Il testimone è uno che ha visto con occhio oggettivo ha visto una realtà non con occhio indifferente ma  ha visto e si è lasciato coinvolgere dall’evento e per questo ricorda non solo  perché sa ricostruire in modo preciso i fatti accaduti ma anche perché quei fatti gli hanno parlato e lui ne ha colto il senso profondo allora il testimone racconta non in maniera fredda e distaccata  ma come uno che si è lasciato mettere in questione e  da quel giorno ha cambiato vita. Il testimone è uno che ha cambiato vita” ha concluso il papa ripetendolo due volte.

Per stare ai genitori, se essi vivono così la loro fede, se non sono bigotti, devozionali, religiosi facsimili, se si raccontano ai figli con la vita di tutti i giorni, mostrando i frutti del loro incontro personale e vivo con la persona di Gesù Cristo, allora i genitori non solo dicono la fede ma ne diventano testimoni credibili e perciò stesso abili educatori alla fede. Genitori così, non trasmettono una parola sterile, non fanno sermoni inutili ma seminano  nel cuore dei figli una parola piena di verità e di vita.

Come è preziosa tal proposito la testimonianza di Santa Teresa del Gesù Bambino: “Tutti i pomeriggi facevo una passeggiata con papà; insieme facevamo la visita al Santissimo, cambiando chiesa ogni giorno, e così mi accadde di entrare per la prima volta nella cappella del Carmelo. Papà mi fece vedere la grata del coro, e disse che là dietro stavano le religiose. Ero ben lontana dal pensare che nove anni dopo ci sarei stata anch’io!” scrive la Santa che tra le righe ci mostra come un genitore indica la strada, propone uno stile, fa emergere la vocazione.

Una domenica sera, dopo la celebrazione eucaristica, una mamma molto contenta e orgogliosa della figlia, mi ha comunicato che la figlia non partecipava a messa perché aveva da studiare. Purtroppo  in mattinata aveva disputato una gara ed era risultata vincitrice, ovviamente per la stanchezza dopo pranzo doveva riposare e poi studiare. Da madre, comprendendo la stanchezza, la tensione mattutina della gara e l’ansia per l’interrogazione, l’aveva autorizzata a restare a casa. Nella sua interpretazione dei fatti, la buona e premurosa mamma non ha tenuto conto che il messaggio implicito passato alla figlia è stato che l’incontro con Gesù può essere rimandato, che viene dopo lo gara, lo studio, il legittimo riposo, eppure la madre ha partecipato a messa, ma  il suo gesto è stato contraddetto. Nella scala delle priorità la fede non viene prima, non orienta e dà significato, non detta le coordinate.

Quante volte capita che i figli vedono il papà sempre puntuale per ad andare o vedere la partita della squadra del cuore, lo vedono che si prepara anzitempo, disdice appuntamenti, e durante la partita esulta, gioisce o si arrabbia, difende la sua squadra. Il figlio che vede questo comportamento capisce che quella cosa conta tantissimo per il suo papà ed è al primo posto nella scala delle priorità. Semmai lo stesso figlio vede il padre quando va a messa, con molta comodità, se vibra il cellulare esce dalla chiesa per rispondere, non è attento. Che cosa ha  comunicato il padre?

Chi incontrava Gesù, percepiva che non c’era frattura tra le sue parole e i suoi gesti, i suoi insegnamenti e il suo comportamento. Così allora se in generale per educare vale l’appello alla coerenza nel campo dell’educazione alla fede essere testimoni è ben oltre la coerenza, è una scelta di vita che perciò diventa stile di vita. La responsabilità di educare alla fede equivale per il genitore all’imperativo di vivere la fede. Educa alla fede il genitore che vive la sua fede, che fa scelte ispirate al Vangelo e al magistero, accettando di andare anche controcorrente.




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4 risposte su “Genitori: la buona volontà non basta”

Ho letto con interesse queste parole, forse perché da pochi giorni Dio ha chiesto a me e Laura di custodire la vita di Arianna.
Essere genitori e al tempo stesso testimoni credibili dell’Incontro con il Risorto mi fa vacillare perché Dio chiama a realizzare sogni alti che desiderano compromissione.
Oggi chiedo a Dio di non metterlo mai in secondo piano, di ricapitolare sempre la mia vita di sposo e di padre intestandola a Lui, l’unica fonte di vita.

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