Storie

Alice, “Per la prima volta c’era qualcuno che si prendeva cura di me”

storie

di Silvia Sanchini

Alice ha appena concluso il suo percorso in comunità. Ha 18 anni ora, un lavoro e la patente da prendere. E una persona speciale a cui raccontarlo. La stessa che otto anni prima l’ha accolta a braccia aperte.

Chissà cosa credevo quando, ormai più di 8 anni fa, sono venuti a casa a prenderci. Mi ricordo che c’era l’assistente sociale e un educatore del Comune. La mamma piangeva ma io pensavo: «Perché piange se poi torno a casa?». Anche il mio fratellino, Andrea, piangeva e mi stringeva la mano. Ma io già allora avevo imparato ad essere forte e a prendermi cura di lui, della mamma, di tutti e non ho versato neanche una lacrima.

A scuola non ci andavamo più da un po’. La mamma faceva qualche lavoretto, saltuario, ma a mantenerci faceva fatica. Io in casa mi occupavo un po’ di tutto, dalle faccende più banali alle medicine per la mamma.

Quando ho messo piede in comunità per i primi tempi mi è sembrata una vacanza, finalmente potevo riposarmi. Lo so che è brutto pensarlo, perché uno dovrebbe essere triste quando viene allontanato dalla sua famiglia e può vedere sua mamma solo una volta al mese.

Ma io in comunità mi sentivo al sicuro. Per la prima volta c’era qualcuno che si prendeva cura di me, e non il contrario. Certo, è stata dura, soprattutto i primi tempi. Era difficile rispettare certe regole o condividere la stanza con persone che per me erano sconosciute.

Poi, un poco alla volta, quella è diventata la mia famiglia, la mia normalità. Mi piaceva soprattutto Chiara, un’educatrice che lavorava lì da alcuni anni. Ogni tanto mi portava a casa sua e ho conosciuto suo marito e i suoi figli. Quando stavo con loro pensavo che mi sarebbe tanto piaciuto avere una mamma così, crescere in quella casa, ma poi cercavo di cancellare quel pensiero perché mi sembrava di offendere la mia mamma ed era l’ultima cosa che avrei voluto.

Una volta alla settimana vedevo Andrea, qualche volta il sabato e la domenica tornavamo a casa dalla mamma ed era bello ritrovarci tutti insieme, anche se un po’strano.

Quando sono diventata più grande ho fatto anch’io le mie cavolate. Una volta sono scappata dalla comunità con Michele, il mio fidanzato. “Una fuga d’amore”, ci dicevamo. Ma chissà dove volevamo andare.

Sono tornata a casa, cioè in comunità, dopo solo un giorno. Chiara era così preoccupata e quando mi ha vista mi ha abbracciata come se avesse avuto paura di perdere qualcosa di prezioso.

Nel frattempo ero anche tornata a scuola, e mi piaceva. Ho preso la qualifica di estetista in un centro di formazione professionale. Giuro che non lo avrei mai pensato. Io con un pezzo di carta? Io che riesco bene in qualcosa?

Ma la cosa incredibile è che, dopo tre mesi di stage, la titolare del negozio in cui ero stata inserita dalla scuola ha deciso di assumermi. Dice che sono brava, precisa, affidabile. Forse perché anche questo è un lavoro dove ci si prende un po’ cura degli altri, che è una delle poche cose che mi riesce bene.

Mi sono anche scritta a scuola guida, per prendere la patente. Il primo test non l’ho superato, ma voglio riprovarci. Tra qualche settimana mi trasferirò in un appartamento in affitto, il mio percorso in comunità è finito, sono ormai maggiorenne. L’idea mi spaventa, ma da un lato mi piace anche.

Però se passo l’esame orale per la patente so già che Chiara sarà la prima persona a cui vorrò telefonare per raccontarle tutto.




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