CORRISPONDENZA FAMILIARE

di don Silvio Longobardi

Le parole di un figlio che per molti non esiste

14 Settembre 2015

Alba

“Per tanti il nostro bimbo non esiste”: il figlio di Anna Maria e suo marito è vissuto soltanto nove settimane nel grembo materno, ma per i coniugi è un segno che chiama alla conversione.

Carissimo don Silvio,

avrei voluto scriverti una lettera agli inizi della gravidanza, ma mi ritrovo qui a raccontarti quanto vissuto solo alla fine di questa storia durata troppo poco.

Il Signore ce l’aveva annunziato: «Verrò a farvi visita per la terza volta…. non di persona, ma per lettera…». Questo il brano della Seconda lettera ai Corinzi di San Paolo letto un’ora prima di andare a prendere i risultati al laboratorio. Era chiaro e io ne avevo timore, ma volevo sperare. Invece il Signore ci chiama a vivere anche questo dolore, un dolore che non si può cancellare, neppure col tempo. Siamo sereni, ma anche provati e ogni volta che ne parlo le lacrime cadono senza che io mi possa contenere.

Ogni figlio che arriva senza che te lo aspetti, sembra di più una chiamata di Dio e lo vivi così, ma di certo per noi era anche un grosso sacrificio. Luca e Serena sono ancora così piccoli! Ma eravamo ben disposti a fare nuovamente spazio ed io ero disposta a ridurre nuovamente i miei impegni esterni pur di dedicarmi a questo figlio, come è giusto che una mamma si impegni.

Scherzando, con qualcuno ho detto: «Il Signore ha deciso che io non devo decidere quando devo avere dei figli e quanti averne». Ma il buon Dio mi ha voluto dire una parola ancora più forte: «Lui ci ha dato, Lui ci ha tolto». E noi siamo qui, con la testa bassa, a prendere coscienza che Lui ha il potere di dare la vita e di toglierla. Nulla è nelle nostre mani, anche se a volte sentiamo di avere qualche potere, oppure pensiamo di poter fare progetti di lungo periodo.

Nove settimane preziose (da quando abbiamo scoperto la gravidanza a quando abbiamo appreso della morte), avrei potuto instaurare già un legame con questo figlio che cresceva dentro di me. Invece sono state nove settimane di sofferenza fisica. Non ricordo un così forte affaticamento con le gravidanze precedenti.

A qualcuno comunicavo che non vedevo l’ora che finisse la nausea, per godermi anche questo tempo e riuscire a vivere un legame con lui. Di solito le mamme non dimenticano mai il giorno del parto. Io non dimenticherò neppure quei tre giorni: quello della notizia, del travaglio e quello della celebrazione eucaristica. E comprendo molto quando Zelia Martin dice che sarà serena solo quando saranno tutti insieme nell’altro Regno. Penso che ci dovremo impegnare molto come coppia e come famiglia per raggiungere il nostro angelo in Cielo! Domenica scorsa dicevo a Giovanna che mi sembrava insopportabile il dolore vissuto da Zelia  per la morte dei suoi quattro figli. Il Signore nel silenzio preparava l’anima alla stessa sorte. Ma l’ho vissuto con abbastanza forza, una forza soprannaturale che solo la fede ci può dare.

Quando abbiamo saputo che il suo cuore non batteva più (l’immagine dell’ecografia è sempre davanti ai miei occhi, così come il mancato rumore e quella linea piatta del suo battito), una cosa che mi faceva soffrire era sapere che questo figlio sarebbe andato buttato chissà dove e chissà dopo quanto tempo. Oltre al rispetto per la vita che portavo in grembo, c’era quell’egoistico desiderio di avere un luogo dove andare a trovarlo. Mio marito è molto più sereno di me, nostro figlio, mi ha detto, non è dietro quella pietra. Ma io ho bisogno di sapere dov’è fisicamente. È stato lui a scegliere di portarlo via e lui ha seguito il tutto. È stato molto forte e la fermezza con cui ha seguito la vicenda, non certamente priva di problemi, me lo fa amare ancora di più, perché riscopro l’immensa sensibilità della sua anima.

Per tanti il nostro bimbo non esiste, non solo per la gente che non ci conosce, ma anche per i parenti che non sono sensibili alla vita intra-uterina. Ma per me, madre, lui è anche quel piccolo corpo deposto in quel loculo. Non so se sbaglio, forse è la forte istintività umana di madre che mi porta a fare queste riflessioni, ma le sento dentro così come sento tutte le altre cose più spirituali.

La tua omelia di quella mattina [quella del funerale, ndr] era come una lettura di quanto portavamo nel cuore e dell’esperienza vissuta. Non sapevi come stavamo vivendo quel periodo se non per qualche battuta detta qua e là, non sapevi nei dettagli quello che avevamo vissuto in quei giorni, eppure hai saputo leggere nei nostri cuori! Ed è vero che i Martin ci hanno accompagnato e ancora ci  stanno accompagnando! Ma se è vero che la sua non nascita è una Parola muta di Dio, è anche vero che per me questo figlio è una chiara chiamata alla conversione.

Mentre scrivo inevitabilmente piango, ma ti assicuro che non stiamo sempre così. È un duro colpo, per noi che viviamo con così grande apprensione anche il più piccolo malessere fisico, ma certamente devo ringraziare Dio per come stiamo riuscendo a conservare la serenità. Non viviamo nella disperazione, aspettiamo solo che col tempo le ferite possano diventare cicatrici. Grazie perché ci hai aiutato a incontrare il Signore!

Anna Maria




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