Sinodo sulla Famiglia

Di cosa si parla al Sinodo?

Sinodo sulla Famiglia

(Foto: Agenzia SIR)

di don Silvio Longobardi

C’è da scommettere che l’attenzione dei media sarà rivolta ancora una volta ad alcuni argomenti, sempre gli stessi. C’è da sperare che i media e i giornalisti cattolici non cadano in questa trappola e sappiano raccontare la realtà della famiglia in tutta la sua bellezza e complessità.

L’Istrumentum laboris, preparato per il Sinodo, è un documento ampio, undici capitoli che ripercorrono la problematica familiare in tutti i suoi aspetti. Un testo molto più ricco rispetto a quello dello scorso anno perché raccoglie fedelmente le osservazioni e le integrazioni emerse nel confronto sinodale e nel dibattito successivo. C’è da scommettere, però, che l’attenzione dei media sarà rivolta ancora una volta ad alcuni argomenti, sempre gli stessi. La comunicazione diventa così un’evidente forma di manipolazione perché chiude gli occhi sulla realtà e costringe tutti a guardare nella stessa direzione, come i paraocchi che si mettono ai cavalli. C’è da sperare che i media e i giornalisti cattolici non cadano in questa trappola e sappiano raccontare la realtà della famiglia in tutta la sua bellezza e complessità.

In molte assemblee diocesane del nostro Paese è abbastanza frequente sentire domande su quello che la Chiesa fa o intende fare per risolvere la questione dei divorziati. È più raro raccogliere domande sulla questione su quello che facciamo o possiamo fare per accompagnare le famiglie che hanno figli con disabilità. Questa evidente sproporzione, che peraltro non risponde alle attese di un Papa che non si stanca di additare i poveri e i sofferenti, è l’eco fedele della manipolazione mediatica. Sulla questione dei divorziati, lo sappiamo, i Padri sinodali hanno idee e sensibilità molto diverse, in alcun casi radicalmente alternative. Si tratta solo di scelte pastorali, assicurano quelli che chiedono cambiamenti più vistosi nella prassi. Non è così, ribattono gli altri, perché un nuovo approccio pastorale in questo ambito determina inevitabilmente un cambio sostanziale della dottrina. Il tema è senza dubbio rilevante e va affrontato con quella prudenza che non guasta.

Per quanto importante, questo è solo uno dei temi che il Sinodo deve esaminare. Sul tappeto vi sono tanti altri argomenti, tutti tasselli di quell’unico mosaico che si chiama famiglia. Dal Sinodo deve uscire una Chiesa più determinata ad annunciare e custodire la bellezza dell’amore coniugale, il valore del matrimonio e il ruolo della famiglia. Una Chiesa che sa condividere le sofferenze degli sposi ma che sa anche dire parole che non troviamo nel vocabolario dell’umana sapienza. Come quelle che dice Pietro allo zoppo che incontra presso la porta del tempio: “Nel nome di Gesù Cristo, il Nazareno, cammina!” (At 3,6). L’elemosina lo avrebbe lasciato nella sua condizione di mendicante. La parola di Dio, invece, gli restituisce la sua dignità di uomo. Sono queste le parole che la Chiesa deve pronunciare, se vuole essere fedele alla sua vocazione e alla sua missione. Quando parliamo della famiglia non dobbiamo dimenticare qual è la posta in gioco. Da quel che leggo e ascolto mi pare che il matrimonio e la famiglia siano presentati in una prospettiva prevalentemente sociologica. Siamo così attenti alla dimensione umana da trascurare quasi del tutto – fino a dimenticare – che il patto coniugale ha un valore sacramentale, è frutto e segno di quell’amore che Dio ha rivelato in Gesù Cristo e risplende oggi nella Chiesa. Il matrimonio che unisce due battezzati non è un’avventura privata ma sacramento, cioè segno visibile, di quest’amore fedele e creativo di Dio. Gli sposi cristiani si lasciano generare dall’amore e, a loro volta, s’impegnano a generare l’amore nella storia. È questo lo sfondo in cui dobbiamo leggere tutte le altre questioni. Ed è questa anche la chiave interpretativa.

La proposta della Chiesa non deve uniformarsi alle attese del mondo ma, con la forza della fede, deve avere il coraggio di andare controcorrente. Temo che il relativismo, che oggi soffoca la cultura occidentale, penetri e faccia discepoli anche all’interno della comunità ecclesiale. I maestri del dubbio insegnano che sul piano antropologico ed etico non ci sono più valori assoluti. Tutto deve essere rinegoziato e reinterpretato. È cosa buona perciò chiedere al Sinodo di ribadire le verità essenziali, quelle che tracciano con chiarezza la strada che conduce alla piena realizzazione dell’uomo: la complementarità sessuale è un valore da difendere e custodire; l’indissolubilità del matrimonio è una parola evangelica esigente e liberante; la fecondità dell’amore non può essere manipolata con mezzi e tecniche che non corrispondono alla dignità della persona.

Non basta ribadire la verità dell’amore e del matrimonio se poi la Chiesa non s’impegna a promuovere una pastorale familiare più attenta alle diverse esigenze della famiglia. Quando ho la possibilità di parlare della famiglia ai sacerdoti, giovani e meno giovani, cerco di farlo con passione e con quella concretezza che nasce dall’esperienza personale. Li vedo attenti ma anche smarriti. Non sanno cosa fare, non sanno da dove partire. La complessità della vita pastorale impedisce loro di approfondire e sviluppare una progettualità più specifica e qualificata a favore delle famiglie. La Chiesa ha il compito di incoraggiare ma deve offrire percorsi formativi per operatori e itinerari di fede più adatti alle famiglie. Guardiamo al Sinodo con grande speranza ma anche con la certezza che quest’assemblea è solo una tappa di un impegno che richiede tempi lunghi e il pieno coinvolgimento di tutti. Punto Famiglia vuole fare la sua parte.




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