Storie

Arianna non si è mai arresa e dona forza a chi crede di non averla

Storia_28_10_2015

di Silvia Sanchini

Un nuovo volto, quello di Arianna (nome di fantasia) a cui ho dato idealmente voce per raccontare l’esperienza di chi ha vissuto fuori famiglia e poi è stato adottato. Oggi Arianna aiuta i ragazzi in comunità o in affido, per testimoniare loro che non sono soli.

Durante gli anni ho vissuto diverse esperienze di accoglienza fuori dalla mia famiglia naturale. Il primo allontanamento è avvenuto quando avevo soli pochi mesi, non posso ricordarlo. Quello che ricordo bene però sono le tante case e le tante famiglie che ho incontrato e in cui ho vissuto. Nella mia storia non mi sono fatta mancare nulla: comunità di accoglienza, casa-famiglia, affido. Fino ad incontrare quella che, anche oggi, è la mia famiglia. La famiglia che mi ha scelto, e che forse anche io ho scelto, e ha deciso di adottarmi. I genitori che chiamo mamma e papà. La sorella con cui condivido litigi e confidenze, problemi e complicità.

La mia storia non è stata semplice e ci sono stati momenti in cui ho davvero creduto di non farcela. Momenti in cui mi sono sentita non capita, abbandonata, rifiutata. Momenti in cui avrei voluto ribellarmi a tutto e a tutti. Istanti in cui ho davvero pensato di mollare. Ma in ognuna di queste circostanze c’è stato qualcosa, fuori e dentro di me, che mi ha impedito di lasciarmi andare e di arrendermi. Una mano forte e salda che mi ha guidato. Una spalla su cui ho pianto. Un abbraccio che ha accolto la mia rabbia e il mio dolore. Sono stati alcuni degli adulti che, in ruoli diversi, ho incontrato nella mia storia di vita. La mia assistente sociale, i miei educatori, i miei attuali genitori. Non hanno mai permesso che mi lasciassi andare e bruciassi la mia vita e sciupassi il mio futuro. In quei momenti ancora non lo capivo o forse non me ne rendevo conto, ma ora lo so: quando sei solo e disperato è importante incontrare qualcuno che crede in te. Qualcuno che ti trasmetta fiducia. Qualcuno che sembra davvero credere che tu possa farcela anche contro ogni pronostico. La mia storia in certi momenti sembrava così drammaticamente scritta e segnata che sarebbe stato molto più semplice forse rinunciare. Come abbiano fatto a credere in me, in alcuni casi, ancora non lo so. Ho letto in una scuola, su un cartellone appeso alle pareti, questa frase di Bernard Buheb: «Nessun bambino è perduto se ha un insegnante che crede in lui». Ecco, quello che è capitato a me credo sia proprio questo. Incontrare qualcuno che ha pensato che io non fossi perduta e che mi ha spinto ad avere fiducia, a fare sempre del mio meglio, a diventare la persona che sono ora.

Per questo una volta divenuta più grande e una volta rielaborata con più serenità la mia storia e il mio passato ho preso una decisione: mettere la mia esperienza a disposizione di altri ragazzi. Ho iniziato a fare incontri nelle comunità di accoglienza, dove ho incontrato volti e storie molto simili alla mia. Situazioni in cui ho rivissuto una vasta gamma di emozioni che avevano segnato la mia infanzia e la mia adolescenza. Non era semplice all’inizio, ho dovuto fare ancora una volta i conti con il mio passato e mettermi fortemente in gioco. Ma la vicinanza che sperimentavo con i ragazzi e le ragazze che incontravo, i loro sguardi in cerca di risposte, mi hanno spinto ad andare avanti.

Con il tempo ho fatto corsi di formazione e mi è stato chiesto di gestire veri e propri gruppi di auto-mutuo aiuto per ragazze che crescono in comunità o in affido. Li accompagno e mi confronto con loro anche nel momento delicato in cui si apprestano a diventare maggiorenni e non sanno con certezza cosa avverrà.

Io sono stata molto fortunata e, credo, anche molto forte. Per questo cerco di fare anch’io qualcosa per chi questa forza non ce l’ha o non crede ancora di averla.




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