Gender

Educazione a “chilometro zero” contro l’avanzata della teoria gender

educazione

(Foto: © AlenKadr - Shutterstock.com)

di Pier Giorgio Liverani

«Perché non pensare a una campagna di educazione a “chilometro zero”, cioè di educazione familiare?». Queste le parole con cui un lettore scrive alla redazione di Avvenire in merito alla rivendicazione da parte della famiglie, del diritto all’educazione della prole. Proviamo a dargli una risposta attraverso le parole di Pier Giorgio Liverani.

«Perché non pensare a una campagna di educazione a “chilometro zero”, cioè di educazione familiare?». La proposta è di un lettore che l’ha fatta scrivendo ad Avvenire ed è stata apprezzata dal suo direttore Marco Tarquinio per “la sua verità”. Anche l’educazione in famiglia è un “prodotto locale”, cioè cresciuto e consumato sul posto stesso in cui si vive. La nostra Costituzione è molto esplicita. Dice: «È dovere e diritto dei genitori mantenere, istruire ed educare i figli» (art. 30). Si notino la formulazione graduale di questi doveri-diritti che passano dal livello materiale (mantenere) a quello sociale e intellettuale (istruire) e infine a quello etico (educare) e la loro collocazione prima ancora dei compiti della scuola di Stato. Quanto a questi, la Carta parla soltanto di “istruzione” (art. 33 e 34), mentre riprende il concetto di “educazione” solo a proposito del diritto degli enti privati di «istituire scuole ed istituti di educazione».

Rafforzano questa logica priorità dei genitori in materia di educazione anche vari documenti internazionali. Il primo è la Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo, che attribuisce ai genitori il «diritto di priorità nella scelta di educazione da impartire ai propri figli» (art 26, 3° comma). Il secondo è la Convenzione Internazionale sui Diritti del Fanciullo (nei testi dell’Onu si è fanciulli prima dei 18 anni), che afferma: «Gli Stati parti devono rispettare il diritto e il dovere dei genitori o, all’occorrenza, dei tutori, di guidare il fanciullo nell’esercizio del diritto alla libertà di pensiero, di coscienza e di religione» (art. 14, § 2). Nell’Unione Europea la Convenzione dei Diritti dell’Uomo esprime così il “diritto all’istruzione”: «Lo Stato, nel campo dell’insegnamento, deve rispettare il diritto dei genitori di provvedere secondo le loro convinzioni religiose e filosofiche». Infine, una raccomandazione del Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa (CM/Rec 5 del 2010) invita gli Stati membri a «tenere conto del diritto dei genitori di curare l’educazione dei propri figli».

Non ci possono essere dubbi, dunque, sulla priorità della famiglia. La scuola ha una funzione sussidiaria e mai in contrasto con il progetto educativo dei genitori. In Italia fu il regime dittatoriale di Mussolini a istituire il Ministero dell’Educazione Nazionale per curare «l’educazione fisica, politica e religiosa dei giovani» tramite la Gil (Gioventù Italiana del Littorio) e mediante la riforma fascista della scuola. Motivazione: «La famiglia italiana è, tolte poche eccezioni, assai blanda nella educazione dei fanciulli». Traggo questi ricordi dalla mia memoria e dal libro “Cultura fascista” (Ed. Paravia, 1939), autenticato dal Regime. Per non parlare della Hitlerjugend, la Gioventù hitleriana, e dei Giovani Pionieri dell’Urss.

Nonostante queste tristi esperienze, l’educazione di Stato sta infettando oggi l’Unione Europea. Esempio clamoroso: nel nome della “laicità” (laïcité, ma leggi laicismo) la Francia ha imposto a tutte le scuole, anche private, l’insegnamento della “morale laica” sulla base di una “Carta della laicità” che sembra una copia di un recente documento del Grande Oriente massonico di Francia. La Carta vieta l’obiezione di coscienza e obbliga le famiglie a sottoscriverla. In questa cornice una “Giornata della laïcité” sarà festeggiata ogni 9 dicembre, anniversario della legge di separazione tra Stato e Chiesa. Il laicismo, si sa, è il miglior terreno di coltura delle nuove ideologie sessiste: uguaglianza tra normalità e omosessualità, matrimoni tra gay, diritto all’affitto di uteri e di adozioni, parità giuridica delle omofamiglie e dei Pacs (Pacte civil de solidarité): le cosiddette unioni civili.

In questo clima il gender ha trovato la porta aperta per valicare le Alpi Marittime. Il pericolo di contagio è dunque reale. Tanto più che in Italia sono già in atto i tentativi di introdurre nella scuola le “teorie del gender” mediante iniziative e insegnamenti palesi o camuffati. Vedi, per esempio, i casi dell’Unar (Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali), organismo della Presidenza del Consiglio, che di propria autonoma iniziativa e al di fuori delle proprie mansioni ha distribuito nelle scuole un volumetto che suggerisce gli “Standard per l’Educazione Sessuale in Europa, pubblicati all’Oms” (Organizzazione Mondiale per la Sanità). Tra questi, per esempio, insegnamenti ai bambini fino a 4 anni sulla “masturbazione infantile precoce” e in circa “l’amore tra persone dello stesso sesso” e tentativi delle associazioni Lgbtq (lesbiche, gay, bisessuali, transgender e queer ovvero strambe) di conquistare i nidi comunali alle nuove teorie sessuali. I semi della zizzania danno frutto se si spargono sul grano appena spuntato.

Urge dunque consolidare una costante reazione delle famiglie a questa seminagione. Non mancano gli stimoli (papa Francesco, i Vescovi) e le iniziative del laicato (i Forum delle Famiglie, altre associazioni, la stampa e gli altri media cattolici). I genitori partecipano ormai a pieno titolo alla conduzione della scuola. Possono partecipare ai consigli di classe, conoscere i progetti, i materiali didattici degli incontri e specialmente i Pof (Piani per l’Offerta Formativa, extracurricolari), ottenere che il proprio figlio non sia coinvolto nelle lezioni di questo tipo, fare gli opportuni ricorsi. Occorre la massima attenzione ai titoli di iniziative ingannevoli come “sull’identità di genere”, “lotta al bullismo omofobico”, “corso sull’affettività”, “stereotipi” o “parità” o “lotta alla violenza di genere”. La “rete” elettronica fornisce spunti, informazioni e materiale conoscitivo utilissimi come il “decalogo per difendersi” redatto dal Forum dell’Umbria, gli schemi di lettere di contestazione eccetera. Ma per fermare l’infezione di gender occorre soprattutto buona volontà, accortezza, spirito di iniziativa e, infine (ma questo è ovvio), tanto amore per i figli.




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