Firenze 2015

Se non parla la Chiesa, chi difenderà il bambino non ancora nato?

Bambino non ancora nato

di Giovanna Abbagnara

In questi giorni in cui la Chiesa si interroga sul nuovo umanesimo, una sosta obbligata dovrebbe farla davanti all’embrione. Come possiamo parlare di nuovo umanesimo se non ripartiamo dal grembo della donna?

Impossibile restare indifferenti di fronte al fascino di Firenze. Ad ogni angolo, l’arte ti seduce e ti costringe a fermarti per contemplare la bellezza che promana da opere che sfidano il tempo. Tra un momento e l’altro del Convegno ecclesiale così passo da Cimabue, Giotto, Botticelli e Leonardo da Vinci della Galleria degli Uffizi a contemplare  l’arte sacra di Chagall, Van Gogh e Fontana presso il Palazzo Strozzi; mi immergo nei versi di Dante con un percorso corale, sonoro e olfattivo presso il Complesso di Santa Croce e sosto incantata nella Basilica di San Lorenzo dove in questi giorni l’arte contemporanea si misura con il versetto del Prologo di San Giovanni: “Si fece carne”.  Tutto mi parla di Dio e della tensione verso l’infinito che ogni artista rappresenta nelle sue opere. Lo sguardo è rapito dai particolari, dai giochi di luci ed ombre.

Non è necessario essere degli esperti per rendersi conto di essere davanti a capolavori capaci di oltrepassare il tempo e i secoli. Eppure sul finire del giorno, visito una mostra che improvvisamente getta una luce importante su tutte le altre e su questa sosta della Chiesa italiana a Firenze.  Si trova nel Chiostro della Basilica della Santissima Annunziata accanto alla mensa della Caritas dove Papa Francesco martedì si è fermato a pranzo insieme ai poveri di Firenze. È organizzata dal Movimento per la Vita italiana e invita a posare lo sguardo sul bambino non ancora nato, sul volto umano dell’embrione. Uno di noi. Non posso fare a meno di pensare che quei pannelli testimoniano la più grande bellezza che potremmo mai contemplare: quella nascosta nel grembo di una donna. Quella che ancora oggi si fa fatica a riconoscere. Non ci sono Fondazioni pronte a pagare per custodire questa arte che viene direttamente dalle mani di Dio.

Non posso fare a meno di pensare che in questi giorni in cui la Chiesa si interroga sul nuovo umanesimo, una sosta obbligata dovrebbe farla davanti all’embrione. Come possiamo parlare di nuovo umanesimo se non ripartiamo da qui? Come restare indifferenti di fronte alla notizia di oggi della gravissima sentenza della Corte costituzionale che abbatte il divieto assoluto di selezione eugenetica previsto dalla legge 40? Come  non interrogarsi sul diritto concesso ad un soggetto terzo rispetto alla coppia di determinare chi nasce e chi no dopo valutazioni di tipo qualitativo?  Questa sentenza è epocale e la Chiesa italiana a Firenze dovrebbe partire da qui, da questa mostra. Se non parla la Chiesa, chi si ergerà a difesa di questi bambini che non hanno voce?

Ieri mattina, presso Fortezza da Basso i delegati hanno cominciato a riflettere e a lavorare sui cinque verbi proposti come riflessione del Convegno: uscire, abitare, annunciare, educare, trasfigurare. Le relazioni introduttive sono state molto interessanti. La prima è stata offerta da Mauro Magatti, ordinario di Sociologia presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano. Sposo e padre di sei figli, Magatti invita ad avere uno sguardo concreto sulla realtà ponendo l’accento sulle relazioni specie familiari: «Per capire cosa fare, cominciamo con il guardarci attorno. Nelle nostre città, nelle nostre parrocchie, nelle nostre famiglie: l’umano è resiliente. Non solo resiste ad un destino di astrazione e frammentazione, ma vi risponde creativamente. Sono ancora tanti – anzi sono forse addirittura la maggioranza, dentro e fuori la Chiesa – le donne e gli uomini che, reinterpretando i successi della tecnica e della economia, continuano a custodire la tenerezza e il calore dell’umano».

Altrettanto interessante la relazione di Mons. Lorizio, ordinario di Teologia fondamentale della Lateranense che invita alla «costruzione di una “cultura dell’incontro”, fatta di gesti e parole interconnessi e dal loro intreccio. Dove il gesto della carità solidale non può che accompagnarsi alla Parola che ne offre il senso e chiama alla risposta credente e le parole non possono non inverarsi in gesti di accoglienza e partecipazione. Questa “sacramentalità” del nuovo umanesimo che si genera dalla fede esprime la realtà di Dio, il quale chiama l’uomo a partecipare alla sua stessa vita e in Gesù di Nazareth realizza la nuova e perenne alleanza, la cui clausola unica è l’amore. Qui si compie il passaggio dal “senso religioso” innestato sull’umanesimo al “senso cristiano”, che invera e supera la pura e semplice religiosità».




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