IV Domenica di Avvento – Anno C

Apriamo gli occhi e il cuore: Dio mi raggiunge nella vita dell’altro che mi è accanto

amicizia

di fra Vincenzo Ippolito

Farsi condurre dallo Spirito per andare verso l’altro è la dinamica che deve scandire la vita coniugale e familiare. Se questo non si verifica e, invece, in me vince la volontà di farmi raggiungere nelle mie comodità, servire nei miei capricci, compatire nelle mie lamentele, assecondare nelle pretese, questo è segno che non è lo Spirito di Dio a muovermi, ma quello del mondo, della superbia.

Dal Vangelo secondo Luca (1,39-45)

In quei giorni Maria si alzò e andò in fretta verso la regione montuosa, in una città di Giuda.
Entrata nella casa di Zaccaria, salutò Elisabetta. Appena Elisabetta ebbe udito il saluto di Maria, il bambino sussultò nel suo grembo. Elisabetta fu colmata di Spirito Santo ed esclamò a gran voce: «Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo! A che cosa devo che la madre del mio Signore venga da me? Ecco, appena il tuo saluto è giunto ai miei orecchi, il bambino ha sussultato di gioia nel mio grembo. E beata colei che ha creduto nell’adempimento di ciò che il Signore le ha detto».


Ad un passo dalla meta della nostra attesa, prossimi a tagliare il traguardo della corsa, facciamo l’ultimo tratto di strada con Maria, la docile Fanciulla di Nazaret. Sedotta dalla bellezza di Dio, adombrata dallo Spirito, è la Madre del Signore e a lei ci rivolgiamo perché, insieme con il suo sposo Giuseppe, rende le nostre famiglie accoglienti alla venuta del Figlio di Dio che in lei si è fatto uomo per noi.

La fretta della carità

La liturgia oggi ci presenta una delle icone evangeliche più belle sulla maternità nella sacra Scrittura. A dipingere la scena è san Luca che inquadra la narrazione odierna (cf. Lc 1,39-45) nel grande polittico dei primi due capitoli del suo Vangelo. Dopo il prologo introduttivo alla sua opera (cf. Lc 1, 1-4), l’Evangelista costruisce la narrazione intrecciando la nascita di Giovanni il Battista con quella di Gesù Cristo, il Salvatore. Non desta quindi meraviglia che dopo l’annuncio dell’angelo a Zaccaria (cf. Lc 1,5-25), l’Evangelista presenti il dialogo di Gabriele con Maria (cf. Lc 1,26-38) e che alla narrazione della nascita e del cammino di crescita del Precursore (cf. Lc 1,57-80) segua il racconto della nascita del Messia e, a singhiozzo, la sua formazione fino ai dodici anni (cf. Lc 2,1-52). Anello di congiunzione tra la vicenda del Battista e quella del Figlio di Dio fatto uomo è il brano odierno nel quale l’incontro tra Maria ed Elisabetta diviene il preludio della salvezza che Cristo donerà ad ogni creatura e di cui Giovanni sarà l’annunciatore.

La scena così come ci viene presentata dall’Evangelista è scarna. Si dice semplicemente che “Maria si alzò e andò in fretta verso la montagna” (v. 29. Ain-Karin – è questa la tradizionale localizzazione del villaggio di Zaccaria ed Elisabetta – dista circa 150 Km da Nazaret, un itinerario non privo di difficoltà per una giovane fanciulla, per lo più incinta. Luca non soddisfa però la nostra curiosità, perché non aggiunge null’altro. Inutili risultano congetture e supposizioni che non rappresentano la finalità perseguita dall’Autore, ovvero indicare Maria, la Madre del Signore quale modello di docile accoglienza della volontà del Padre.

Il primo dato che emerge dal brano è che la Vergine “essendosi alzata, si mise in cammino verso la montagna in fretta” (nostra è la traduzione, alquanto diversa rispetto a quella della CEI che sembra perdere l’aspetto verbale del testo greco). L’azione principale è il mettersi in cammino, preparata dalla precedente, l’alzarsi. Quando lo Spirito investe la vita di una persona, per la docilità incondizionata che gli viene prestata, si sperimenta, al pari di Cristo la grazia dell’essere condotti dal Paraclito, guidati da Lui, senza nessuna costrizione, ma trovando gioia vera in ciò che viene da Dio richiesto. Maria, adombrata dallo Spirito che già al principio l’aveva ricolmata di grazia (cf. Lc 1,26), è dimora pura e santa del Signore ed è interiormente mossa dalla Presenza silenziosa e reale, nascosta ed efficace del Redentore. Maria ha in sé il Verbo della vita e tutto ciò che pensa, compie, sente, guarda, ascolta è compiuto con il Figlio di Dio che in Lei è divenuto figlio dell’uomo e, al tempo stesso, ogni azione è realizzata nel Figlio del Padre. C’è, infatti, tra Gesù e Maria quel meraviglioso scambio che è opera dello Spirito: mentre il Verbo riceve la vita ed il suo nutrimento nel seno della Vergine, questa accoglie docilmente dal suo stesso Figlio – che è poi il suo Dio – la grazia della divina compiacenza, la potenza della misericordia, la forza dell’eterno amore. Tutto in Maria è di Gesù e per Gesù. Tutto in Maria è compiuto in Gesù e con Gesù. È il Figlio che spinge la Madre ad alzarsi perché è questo il segno che la grazia opera in obbedienza a Dio. Non lo sperimenta forse ogni donna dal concepimento al parto? Conduce all’esistenza il frutto del suo seno, mentre è da lui condotta nella gioia dell’avere in grembo il mistero della vita. E se questo capita ad ogni donna divenuta madre, ancor più singolare è il mistero della divina maternità in Maria visto che “ciò che è operato in lei viene dallo Spirito Santo” (Mt 1).

Nel mistero della Vita che la abita, la Fanciulla di Nazaret si mette in cammino e, Figlia di Abramo, intraprende un radicale itinerario di fede. Ha ricevuto la parola del Signore attraverso l’Angelo, ha accolto in sé il Verbo della Vita ed ora si mette in viaggio, ricca dell’esperienza di Dio che ha fatto nella sua giovane età. Nessun tentennamento in lei, nessuna ritrosia, neppure un accento di timore e di paura. Alzatasi, si mette in cammino. La fede è cammino, con Dio ed in Dio, un viaggio verso l’altro con il quale scambiare la gioia della condivisione per le mirabili opere compiute da Dio. Elisabetta che Maria visita, come lei ha sperimentato la misericordia di Dio e, al pari della Vergine, gode del dono singolare accordato dal suo Signore a lei e a Zaccaria in vecchiaia (cf. Lc 1,24-25). Maria è la Donna della Via sia perché in lei “Cristo si è fatto nostra via” – scrive Chiara d’Assisi nel suo Testamento – sia per la capacità di mettersi in cammino, di vivere l’avventura di un nuovo e sconosciuto esodo verso l’altro. Non si raggiunge la casa del cuore dell’altro – sembra dire Luca – se Dio non ti abita dentro, se non muove la tua volontà, se non motiva i tuoi passi, se non spinge interiormente il tuo desiderio. L’homo viator, nella sua dimensione esistenziale di pellegrino e forestiero, è un itinerante per vocazione come Abramo, un’ anima in continua corsa come la Maddalena al sepolcro. La fede in Maria ed in ogni discepolo è operosità santa, corsa nella forza dello Spirito, cammino per raggiungere l’altro, vivendo la stessa dinamica di Dio che esce da sé per raggiunge l’uomo. È questo, infatti, che fa il Padre misericordioso andando incontro al suo Figlio, è questo che fa il Verbo facendosi uomo Egli stesso e raggiungendo l’uomo lì dove si trova per accordargli il favore della sua misericordia, la grazia della sua visita. Maria è spinta dal Dio che porta dentro a fare come Lui, ovvero raggiungere il fratello, entrando nella sua casa e mettendosi al servizio della sua gioia.

Terzo elemento che l’Evangelista presenta sempre nel v. 39 – il primo è l’alzarsi, il secondo il mettersi in cammino – è la fretta. Non si tratta però dalle curiosità che spesso ci muove nel compiere le cose, neppure del batticuore del realizzare il proposito deciso. In Maria la fretta è segno della pronta obbedienza al Signore, frutto del suo intuire la richiesta del suo Dio. L’angelo le ha dato un segno (cf. v. 36) e la Vergine non solo lo accoglie nella fede, ma sente di dover condividere la gioia della potenza di Dio in lei con chi ha fatto la sua stessa esperienza. La Madre del Verbo sente il desiderio del dialogo amicale, della condivisione nel Signore, del dono concessa a lei e per lei ad ogni creatura. Non può tenerlo per sé, sente l’esigenza della fretta di donare Dio. Come farà con i pastori ed i Magi, ora, ancora gestante, nella casa di Elisabetta e Zaccaria, prima ancora di partorire il Messia promesso lo dona attraverso la sua Presenza discreta e ricca di umanità abitata dall’Eterno.

In Lei lo Spirito, come il vino nuove, ribolle nel vaso del suo cuore e la spinge. È la fretta della carità quella di Maria, la premura dell’amore, la dinamica del dono gratuito. “Gratuitamente avete ricevuto – dirà Gesù nella seminagione evangelica – gratuitamente date” e Maria questo lo vive prima ancora che il suo Figlio e Signore lo insegni con la vita e la parola, perché Lei è condotta a recepire docilmente gli insegnamenti del Cristo, quando ancora questi è nel suo grembo. È così che Maria vive, unita a Gesù, l’ansia di donare Dio, di partecipare la sua salvezza. Cristo, infatti, è questo: la fretta di Dio di amare e donarsi come Salvatore e Maria assimila dal Figlio suo la fretta della divina carità e lascia che Lui le conceda di vivere prima di ogni altro la singolarissima grazia del discepolato.

La vita è un cammino, un peregrinare nella fede, sorretti dalla grazia del Signore. Si cammina nella gioia, si cammina nel dolore e nel pianto, si procede con il sole o con le nubi, con la pioggia o anche nella tempesta. In famiglia, si cammina e si deve camminare insieme, sempre. È questo il senso del matrimonio come sacramento, condividendo la volontà e l’impegno di tenere fisso lo sguardo sulla meta, mano nella mano, sorreggendosi nella prova e sorridendo sempre al futuro. La famiglia è la casa dove lo Spirito pone la sua abitazione e dimora ed il cuore degli sposi, come quello della Vergine, deve essere mosso dal Signore nell’azione. Sì, non deve esserci nessun gesto che non trovi in Dio il suo ispiratore, nello Spirito la sorgente di forza, nel cuore del Padre la meta a cui giungere, in Gesù Cristo la via da imboccare. Gli sposi cristiani sono continuamente invitati a lasciare che lo Spirito li spinga ad alzarsi. L’accomodare o anche l’addomesticare le parola del Vangelo non fanno per il cristiano e la famiglia ha ricevuto da Dio il dolce giogo dell’amore scambievole a somiglianza di quello di Cristo. Dobbiamo gareggiare a chi lascia allo Spirito la possibilità di muoverlo all’azione, spingerlo al dono, motivarlo al sacrificio, determinarlo all’offerta. Sempre camminando insieme. Canta e cammina – diceva sant’Agostino – si canta per amore, si cammina avendo una meta. Maria doveva arrivare da Elisabetta e noi camminiamo verso chi? Ci scomodiamo per raggiungere l’altro/a? Ci alziamo per metterci in moto oppure lasciamo che l’apatia ci consumi ed il sonno dell’oblio ci vinca? Lo Spirito Santo, come nel caso della Vergine, è il motore dei nostri pensieri e delle azioni nostre?

Farsi condurre dallo Spirito per andare verso l’altro è la dinamica che deve scandire la vita coniugale e familiare. Se questo non si verifica e, invece, in me vince la volontà di farmi raggiungere nelle mie comodità, servire nei miei capricci, compatire nelle mie lamentele, assecondare nelle pretese, questo è segno che non è lo Spirito di Dio a muovermi, ma quello del mondo, della superbia. In questo caso non si creano rapporti, si scindono, non crescono le relazioni, ma si sopportano, non si cammina insieme con passo veloce, ma ci si trascina sulla strada dell’egoismo che conduce lontano dalla gioia del Vangelo. Maria ci invita ad osare con noi stessi e con gli altri. Se osassimo di più, se ci sentissimo spinti dal soffio dello Spirito verso l’altro! Se riuscissimo a vincere le nostre frette per vivere la gioia di donarci Dio. Dobbiamo pregare Maria perché accenda in noi l’urgenza dello Spirito, la fretta del bene, la volontà di servire i fratelli nell’amore. Quanto abbiamo da imparare da Maria!

Riconoscere il dono di Dio nell’altro

Giunta da Elisabetta, Maria “entrò nella casa di Zaccaria” v. 40. Non si tratta di un gesto scontato, perché la valenza di quest’entrare nella dimora di Ebron ha nel frutto del grembo di Maria la sua forza. Non si entra nella vita dell’altro se Dio non ci rende delicati, se lo Spirito non muove il cuore all’accoglienza, se il Paraclito non ci dona di comprendere la persona che ci è di fronte come un mistero che richiama quello di Dio stesso. Maria entra con umiltà, non si sente padrona in casa altri e non presume di impartire lezioni all’anziana cugina. La maternità non la rende superba, ma la fa crescere ancor di più nell’umiltà. La Vergine sa che in Lei ha operato solo Dio e non nasconde quanto lo Spirito compie, ma con semplicità si dona come il Signore l’ha plasmata ed arricchita. Maria si dona per quella che è. Così si costruiscono i rapporti, donandosi nella schiettezza e semplicità, così si creano relazioni e si cresce nella comunione di coppia, in famiglia, nelle comunità religiose ed ecclesiali. Varcare la soglia del cuore dell’altro deve rimanere sempre un mistero, anche e soprattutto tra gli sposi. Non devo mai credere che il cuore dell’altro/a è per me una terra conosciuta, un mistero svelato completamente. Questo appesantisce il rapporto e rende monotona la relazione, priva di fede l’esperienza matrimoniale. L’altro che mi è stato donato da Dio, io non lo possederò mai fino in fondo. È un mistero da custodire il suo cuore, la sua anima la casa dove abitare sì, mai però da padroni. Io sono chiamato a custodire il mistero che l’altro è, senza appropriazioni, né strumentalizzazioni.

Entrare nella casa di Elisabetta per Maria è la cosa più semplice che possa fare perché vive in Lei Cristo, come ricorda san Paolo (cf. Gal 2,20), in Lei c’è la connaturalità del dono del suo Signore, perché, immersa nel mistero di Dio, Maria vive di Dio e Dio vive in Lei e con lei, proprio come Gabriele le aveva rivelato “Il Signore è con te” (Lc 1,28). Quando è Dio a spingerci, le porte della vita dell’altro si aprono, davanti all’umiltà si spalancano, con la tenerezza si rompono i suoi stipiti, con il silenzio dell’amore, si scardinano i forzieri. Quando è l’amore di Dio a passare in noi, ci vorrà del tempo, ma vincerà la tenerezza nel nostro sguardo e nelle parole che Egli ci ispira. Segno della trasformazione della carità è il saluto della Vergine. Elisabetta né è profondamente colpita, la sua voce muove le corde del cuore suo ed il bambino che porta nel grembo riconosce, nella voce della parente, l’azione silenziosa di Dio, la presenza del Signore al quale egli preparerà le strade. Si sta realizzando in Giovanni ciò che l’angelo aveva detto al padre Zaccaria: “Sarà pieno di Spirito Santo fin dal grembo di sua madre” (Lc 1,15). La voce di Maria dona Gesù ed in Lui si realizzano le promesse messianiche, il dono dello Spirito è offerto a tutti. Madre e figlio ne sono ripieni, al pari di Maria che è il luogo in terra più ricolmo della grazia dell’Eterno. Il dialogo tra le due donne e madri inizia proprio perché è lo Spirito a condurle per mano ad uno scambio in Dio cuore a cuore. Il Paraclito muove all’abbraccio, le spinge alla condivisione, si capiscono senza parlare, le parole appaiono superflue, anzi svelano al lettore ciò che entrambe già vivono e sanno. Dio usa misericordia a coloro che confidano in lui. Nella meditazione del brano dobbiamo entrare nell’esultanza dello Spirito, nel grande grido della letizia dell’anziana parente di Maria visitata dal Signore. Se riuscissimo a capire che Dio mi raggiunge nella vita dell’altro che mi è accanto! Questo deve spingermi da una parte a riconoscere nell’altro il dono così da accoglierlo, ma, al tempo stesso, a lavorare interiormente perché la mia vita sia specchio dello Spirito, della sua azione continuazione, del suo amore il riflesso. Dio ama la mia sposa/il mio sposo attraverso di me! Perfino il saluto – Maria non ha fatto grandi discorsi, ma ha rivolto alla sua parente un semplice saluto! – può rallegrare l’altro se fatto nella forza dell’amore di Dio. Il credente deve compiere tutto nella forza dello Spirito che i discepoli di Cristo riceveranno a Pentecoste, secondo la promessa di Gesù – “Riceverete forza dallo Spirito Santo” (At 1,8) – perché senza la potenza del Signore tutto è vano.

Com’è bella la vita di Maria! Il suo semplice saluto riempie di esultanza la vita della sua parente, mentre il figlio, ancora nel grembo, esulta per la presenza del suo Redentore. Gli uomini e le donne che hanno in sé Dio si riconoscono tra mille. In questo sta la santità, nel vivere di Dio, nel lasciare a Dio di dimorare ed agire in noi.

C’è poi un significativo passaggio che Luca sembra compiere per bocca di Elisabetta, mossa sempre dalla forza dello Spirito ed è il riconoscere il dono di Dio nella vita di Maria. È questa una pietra miliare nei nostri rapporti: stimare il bene che il Signore opera nell’altro, senza gelosie né invidie è il segno che l’amicizia cresce, la relazione si consolida, il rapporto di coppia si rafforza, le relazioni comunitarie vincono le inevitabili tempeste della vita. Elisabetta non fa un complimento a Maria, ma si tratta di una vera benedizione. La moglie di Zaccaria, infatti, aveva ravvisato in Dio la ragione della vita della Vergine, il motivo della sua femminilità aperta ad accogliere la Vita e a darle vita. La cugina va in profondità nel dialogo, non si ferma alla corteccia, ma giunge al mistero della bellezza interiore di Maria. Lo Spirito ci conduce a guardare in verità il mistero dell’altro. Quando nella relazione sono spinto da sentimenti umani, da interessi egoistici, non solo il mistero dell’altro mi diviene estraneo, ma gelosie ed egoismi, dicerie e preconcetti annebbiamo gli occhi nel vedere l’altro, riempiono gli orecchi nell’ascoltarlo, andando al di là delle parola. Lo Spirito, invece, mi guida, come nel caso di Elisabetta, ad entrare nel mistero dell’altro, nella vocazione ricevuta da Dio, nel disegno che sta perseguendo. Il Paraclito apre ad Elisabetta la comprensione della maternità della Vergine proprio come un giorno accadrà a Pietro che riconoscerà in Gesù di Nazaret il Figlio del Dio vivo, per rivelazione del Padre, non per la carne ed il sangue, ovvero per una conoscenza puramente umana. Io comprendo la vita della persona che mi è accanto, del figlio nato dal mio amore con la persona che Dio mi ha posto come mia costola e mio osso, se mi lascio condurre dallo Spirito che dal battesimo abita ed opera in me. Se fosse il fuoco dello Spirito ad animare i nostri dialoghi, eviteremmo tante grida che nulla hanno in comune con il grido di esultanza di Elisabetta. Perché è per noi così difficile stimare l’altro, riconoscere i suoi pregi, gioire dei doni elargiti da Dio in lei? Ciò che l’altro/a ha non è forse anche per la mia gioia e quanto io riconosco in me non serve per mettermi al servizio dei fratelli? Siamo invitati ad entrare nella gratuità del dono, prima di tutto a riconoscerne in Dio la sorgente e a fidarci delle positività che l’altro/a ha. Lo Spirito, in tal modo, vince in noi la lamentale e le pretese e ci fa vivere nella dinamica della stima e del riconoscimento del dono suo. Elisabetta riconosce, insieme con il suo bambino che le sussulta in grembo, la superiorità di Maria e del Bambino che lo Spirito le ha donato di concepire ed esalta Maria per la sua fede, per l’abbandono prestato al suo Dio, per l’obbedienza incondizionata alla sua parola, al disegno di salvezza per tutti gli uomini.

Si avvicinano alla greppia del Bambino Gesù solo coloro che obbediscono alla voce di Dio come Maria, come Giuseppe, come i pastori, alla voce silenziosa di una stella come i Magi giunti dall’Oriente. Il Signore ci conceda di obbedire ai segni che lascia nella nostra vita per incontrare Lui, nostro Dio e Salvatore ed aprirci a relazioni sincere e serena che di Dio sono il riflesso della sua bellezza tra gli uomini.

 

Liturgia dell’Avvento in famiglia

Questi ultimi giorni che ci separano dal Natale, viviamoli come il tempo di preparazione immediata alla nascita del Signore. Accendendo la quarta lampada dell’Avvento chiediamo con ancora più insistenza a Maria il dono dell’accoglienza del Figlio suo per noi, la nostra famiglia, per la Chiesa e per ogni uomo di buona volontà.

Madre del Signore,
che ricca dello Spirito
hai attraversato le montagne di Giudea
per raggiungere la casa di Zaccaria e di Elisabetta,
donaci la fretta nel donare Cristo ad ogni uomo.
Nelle nostre famiglie
fa’ che regni la stima reciproca e l’accoglienza.
Come nel tuo grembo,
così Dio abiti i nostri rapporti
e ci renda docili nel realizzare
il suo disegno di salvezza.
Che i nostri piedi mai conoscano
la stanchezza del cammino verso l’altro,
le mai non si chiudano alla condivisione,
il cuore all’amore e al dono.
Donaci di cantare con te il nostro Magnificat
e di vedere lo Spirito di Dio farci sussultare
nel vederlo all’opera
perché Cristo regni in noi
con la sua grazia e la sua pace.
Amen.




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