Sinodo sulla Famiglia

Papa Francesco, 4 messaggi da non dimenticare sulla famiglia

Papa Francesco

(Foto: Gabriel Andrés Trujillo Escobedo - Creative Commons 2.0)

di Giovanna Abbagnara

“Che cosa significherà per la Chiesa concludere questo Sinodo dedicato alla famiglia?”, così papa Francesco rifletteva sul significato del Sinodo, ma questa è una domanda che interpella tutti noi che siamo in attesa della decisione del Papa sulla Relatio finalis.

Le riflessioni conclusive dei padri sinodali sintetizzate nella Relatio finalis sono state consegnate a papa Francesco, sarà lui a decidere che cosa fare. A Lui è affidata l’ultima parola. In attesa di questo documento, possiamo cercare di cogliere i segni che papa Francesco ci offre. Le sue scelte gettano una luce importante sulla riflessione sinodale. Innanzitutto, la convocazione del Sinodo è stata una delle prime decisioni del nuovo pontefice: esattamente otto mesi dopo la sua elezione. Ha voluto inoltre dare alla riflessione sulla famiglia un lungo periodo, convocando prima un Sinodo straordinario e successivamente un Sinodo ordinario. Ha voluto rendere pubblica la Relatio Synodi. Ha offerto nel discorso finale ai padri sinodali un metodo di approccio alla lettura della Relatio. Papa Francesco si pone una domanda molto interessante. Lui dice: “Mentre seguivo i lavori del Sinodo, mi sono chiesto: che cosa significherà per la Chiesa concludere questo Sinodo dedicato alla famiglia?”. Innanzitutto chiarisce ciò che non significa e cioè: “non significa aver concluso tutti i temi inerenti la famiglia” e in secondo luogo: “non significa aver trovato soluzioni esaurienti a tutte le difficoltà e ai dubbi che sfidano e minacciano la famiglia”. Quindi il Sinodo è stata una statio, una sosta nel cammino della Chiesa, un’istantanea necessaria ma non esauriente. Sicuramente dice papa Francesco questo Sinodo è servito a rimettere al centro dell’attività pastorale la famiglia: “significa aver ascoltato e fatto ascoltare le voci delle famiglie e dei pastori della Chiesa che sono venuti a Roma portando sulle loro spalle i pesi e le speranze, le ricchezze e le sfide delle famiglie di ogni parte del mondo”; “significa aver dato prova della vivacità della Chiesa Cattolica, che non ha paura di scuotere le coscienze anestetizzate o di sporcarsi le mani”; “significa anche aver spogliato i cuori chiusi che spesso si nascondono perfino dietro gli insegnamenti della Chiesa, o dietro le buone intenzioni, per sedersi sulla cattedra di Mosè e giudicare, qualche volta con superiorità e superficialità, i casi difficili e le famiglie ferite”; “significa aver affermato che la Chiesa è Chiesa dei poveri in spirito e dei peccatori in ricerca del perdono e non solo dei giusti e dei santi, anzi dei giusti e dei santi quando si sentono poveri e peccatori”.

Misericordia e verità

In linea con il suo ministero petrino, il Santo Padre ci invita a custodire uno sguardo dove misericordia e verità si rincorrono, si abbracciano e diventano il metro di misura, gli occhiali attraverso cui leggere la realtà. “L’esperienza del Sinodo – ha aggiunto papa Francesco – ci ha fatto anche capire meglio che i veri difensori della dottrina non sono quelli che difendono la lettera ma lo spirito; non le idee ma l’uomo; non le formule ma la gratuità dell’amore di Dio e del suo perdono. Ciò non significa in alcun modo diminuire l’importanza delle formule, delle leggi e dei comandamenti divini, ma esaltare la grandezza del vero Dio, che non ci tratta secondo i nostri meriti e nemmeno secondo le nostre opere, ma unicamente secondo la generosità illimitata della sua Misericordia”.  E aggiunge in un passo successivo che: “Il primo dovere della Chiesa non è quello di distribuire condanne o anatemi, ma è quello di proclamare la misericordia di Dio, di chiamare alla conversione e di condurre tutti gli uomini alla salvezza del Signore (cfr Gv 12,44-50)”. È sempre papa Francesco nel suo Discorso conclusivo a ricordarci le parole stupende di san Giovanni Paolo II: «la Chiesa vive una vita autentica quando professa e proclama la misericordia […] e quando accosta gli uomini alle fonti della misericordia del Salvatore, di cui essa è depositaria e dispensatrice».

La categoria della tenerezza

È interessante anche notare come papa Francesco abbia introdotto la categoria della tenerezza, un aspetto che i padri sinodali recepiscono sul finire della Relatio (n. 87-88). La tenerezza come stile nelle relazioni. Potremmo dire che mentre coniugare verità e misericordia significa vivere il cuore del messaggio evangelico, la tenerezza è la modalità attraverso la quale passa l’annuncio della fede. “La tenerezza dei rapporti familiari” dice il testo sinodale “è la virtù quotidiana che aiuta a superare i conflitti interiori e relazionali”.

La sinodalità

Un altro criterio metodologico che papa Francesco ci offre è quello della sinodalità, il modo di essere Chiesa quello cioè di camminare insieme senza che nessuno si senta escluso perché non è la dottrina che emargina qualcuno piuttosto la prassi, il modo, l’atteggiamento. È stato proprio il papa a definire il Sinodo, cioè il convenire intorno al vescovo di Roma, come: “un evento di grazia, nel quale la collegialità episcopale si manifesta in un cammino di discernimento spirituale e pastorale”. In questa linea dunque il Sinodo non ha fatto altro che recepire e ribadire con più forza la novità del Concilio Vaticano II.

Il protagonismo degli sposi

La partecipazione degli sposi all’assise sinodale come partecipanti o uditori, in tutto 17 coppie, è stata una scelta lungimirante e coraggiosa che indica il desiderio di dare la parola agli sposi e di indicare in questo modo un criterio. Senza l’ascolto delle esperienze, senza un necessario accompagnamento degli sposi non è possibile programmare e progettare una pastorale familiare.




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