Domenica delle Palme – Anno C

Lasciati amare e basta!

Domenica delle Palme

di fra Vincenzo Ippolito

Se il verbo “uscire” è il filo rosso che percorre la Quaresima, la Settimana Santa ci invita, invece, ad “entrare” nel mistero dell’amare “fino alla fine”. Anche per entrare e far entrare Cristo in noi è richiesto coraggio perché il nostro cuore ha una porta che, per essere attraversata, va aperta solo dall’interno.

Dal Vangelo secondo Luca (19,28-40)
In quel tempo, Gesù camminava davanti a tutti salendo verso Gerusalemme. Quando fu vicino a Bètfage e a Betània, presso il monte detto degli Ulivi, inviò due discepoli dicendo: «Andate nel villaggio di fronte; entrando, troverete un puledro legato, sul quale non è mai salito nessuno. Slegatelo e conducetelo qui. E se qualcuno vi domanda: “Perché lo slegate?”, risponderete così: “Il Signore ne ha bisogno”».
Gli inviati andarono e trovarono come aveva loro detto. Mentre slegavano il puledro, i proprietari dissero loro: «Perché slegate il puledro?». Essi risposero: «Il Signore ne ha bisogno».
Lo condussero allora da Gesù; e gettati i loro mantelli sul puledro, vi fecero salire Gesù. Mentre egli avanzava, stendevano i loro mantelli sulla strada. Era ormai vicino alla discesa del monte degli Ulivi, quando tutta la folla dei discepoli, pieni di gioia, cominciò a lodare Dio a gran voce per tutti i prodigi che avevano veduto, dicendo:
«Benedetto colui che viene,
il re, nel nome del Signore.
Pace in cielo
e gloria nel più alto dei cieli!».
Alcuni farisei tra la folla gli dissero: «Maestro, rimprovera i tuoi discepoli». Ma egli rispose: «Io vi dico che, se questi taceranno, grideranno le pietre».

La Pasqua ebraica è alle porte e l’aria della città di Gerusalemme è inebriata dalla gioia di una folla immensa, giunta da ogni dove per la festa. Vi giunge anche Gesù accolto come il profeta sorto nel piccolo villaggio di Nazaret. È il tempo del compimento. Le profezie sul Messia, della stirpe di Davide, si realizzano e così, nella cornice solenne della Pasqua rituale, il Signore visita ed incontra, questa volta in maniera definitiva, il suo popolo santo.

Il Cristo entra in Gerusalemme, varca le porte della città santa, più volte abbattuta e altrettante volte ricostruita, dove ogni pietra è un ricordo, un avvenimento da legare ai lembi del proprio mantello, un ricordo dell’alleanza stretta da Dio con i suoi, nell’amore e nella fedeltà. È la città sposa dell’Altissimo che viene visitata dallo Sposo, nell’umiltà e quasi nel nascondimento. La folla non si rende conto che sotto quella gioia, ce ne potrebbe essere una ancora più profonda. “Se tu conoscessi il mistero di Dio, o Gerusalemme”.

Ma la città cuore dell’orgoglio religioso giudaico è il luogo delle grandi contraddizioni. C’è il tempio che si erge come memoria antica di un’elezione che risale a Salomone, il figlio amato da Davide con un affetto di predilezione, ma è anche il luogo dove il sacro nasconde il profano, interessi e intrighi. Gesù stesso lo aveva accusato nella cacciata dei cambiavalute e dei mercanti “Avete fatto della casa del Padre mio un covo di briganti” (Lc 19,46) È l’altra faccia del re Salomone che, istigato dalle sue mogli straniere, si volge ad altre divinità, introducendo culti pagani che porteranno all’abominio e allo sgretolamento anche politico del suo regno. Gerusalemme, nata come città della pace messianica, è il paese dai due volti, dalle due realtà che convivono, del bene e del male, dell’amore di Dio fino al disprezzo di sé e della propria vita e dell’amore di sé fino al misconoscimento del proprio Dio. Ed è proprio in questa città che entra Gesù a dorso di un puledro!

La nostra vita è proprio come questa antica città, ancora oggi palcoscenico di eccidi e di guerre fratricide. La nostra esistenza, lo scorrere ora lento e sereno, ora tumultuoso ed irrefrenabile delle nostre famiglie è scandita dalle contraddizioni tra quello che crediamo, professiamo, amiamo e quanto facciamo, pratichiamo nella quotidianità delle nostre scelte dove spesso i principi camminano da un verso e il vissuto nostro da un altro. “Il mio nome è Gerusalemme, Dio mi ha voluto come città della pace, ma dentro il mio cuore ho la guerra. Il Signore mi ha coltivato come il giardino ben irrigato, della sua residenza per sempre, ed io sono divenuta la vigna che ha prodotto uva acerba e selvatica. Dio ha disegnato le mie mura nella cui intimità incontrarlo ed io ho preferito abbandonarlo per dissetare altrove la mia sete di felicità, non nel pozzo del suo infinito amore. Egli ha tatuato nelle palme delle sue mani il mio nome, io ho dimenticato la dolcezza del suo”. Potrebbe essere questa la confessione di ogni uomo. Siamo tutti un po’ Gerusalemme e soltanto il cuore può dire quando e come, solo interrogandosi ed aprendo a se stessi il sacrario della propria interiorità, sarà svelato il mistero che è nascosto dentro di noi e che solo Dio conosce perché noi lo nascondiamo anche a noi stessi, il più delle volte.

Possibile che Dio possa venire a me? Era la domanda che si poneva anche Elisabetta alla vista di Maria che, piena di Spirito Santo, corse da lei a portarle, con l’aiuto per una gravidanza difficile, la gioia della sua intimità con Dio. “A che debbo che la madre del mio Signore venga a me? Ecco, appena il tuo saluto è giunto ai miei orecchi il bambino ha esultato nel mio grembo” (Lc 143-44). La casa di Zaccaria ha accolto una donna, è quanto possono pensare i vicini, ma non è entrata solo una parente in quella casa, è entrata la Madre del Signore, del Messia. Così tutta la casa si riempie dell’amorosa presenza del Salvatore che risplende nella dolce e premurosa sollecitudine della Vergine. Possibile che Dio possa scegliere la contraddizione della Gerusalemme che sono io, che è il mio cuore martoriato? Possibile che il Signore scelga proprio la mia casa, la mia famiglia, al pari di quella di Gedeone (cf. Gd 6,15)? Non è forse lui Padrone del suo amore? Non è Lui libero di scegliere la città da visitare, il borgo dove fermarsi a portare il suo annuncio di salvezza?

In Gerusalemme entra Gesù come un povero. Non sceglie per sé carri e cavalieri, ma un puledro (cf. Lc 19,35). Il suo seguito non è un esercito saldamente armato e scrupolosamente addestrato per la difesa del suo signore. Suoi compagni sono dodici uomini umili e arruolati alla causa del regno dei cieli senza preavviso, con un semplice “Seguimi” o anche “Vieni con me”. Il suo ingresso non è salutato da regnanti o da ambasciatori, ma dalla gente del popolo. Non calpesta tappeti persiani e non lo si accoglie con onori militari, ma la strada viene coperta dai mantelli e palme di ulivo e rami di piante salutano ed acclamano il suo ingresso. Nessuna parola esce dalla sua bocca. È accolto come profeta, ma egli è il Re della gloria.

Ci saremmo aspettati altro. Invece no. Gesù esce sempre dagli angusti spazi dei nostri ragionamenti come l’amante che vuol stupire l’amata con visite e modalità inaspettate per manifestargli la portata del suo affetto. Così Gesù entra anche nella nostra vita, nella mia famiglia e nella tua. Non suona le trombe e non ama essere annunciato. Entra e basta se trova la porta aperta come quella di Gerusalemme. A lui non interessa che la città del cuore sia sgombra da ogni cosa. No, questo no. Chiede solo di essere accolto. Sarà lui a mettere ordine, in un modo tutto suo, tra le mura della mia Gerusalemme. Egli dice a me, come a te: “Io sto alla porta e busso… se uno mi apre la porta, io entrerò, cenerò con lui ed egli con me” (Ap 3,20).

Noi vorremmo, invece, delle manifestazioni eclatanti della presenza di Dio nella nostra vita. Gesù invece desidera che lo si scopra tra i volti degli sconosciuti che popolano le strade della nostra città interiore; vuole che gli si lasci la possibilità di amarci ed incontrarci così come Lui vuole. È difficile per noi lasciare che Dio sia Dio così come a lui piace, senza presentargli il galateo che deve seguire per rivelarsi. L’amore ha le sue leggi perché è più forte di ogni norma. Noi desideriamo piegarlo alle nostre, come Pietro che non comprende il progetto di Dio e quando sente passione e morte dalla bocca di Gesù, quasi lo corregge. “Pietro lascia che Dio sia Dio, che sia il Dio della tua vita. Lasciati amare e basta. Lascia che entri nella tua vita come a lui piace”. Già il Battista alla vista di Gesù nei pressi del Giordano in fila per ricevere il battesimo, ha avuto da ridire “Io ho bisogno di essere battezzato da te e tu vieni da me?” (Mt 3,14), mal sopporta che l’amore anticipi l’amato. “Lascia fare per ora, perché così conviene che adempiamo ogni giustizia” (Mt 3,15) sarà l’invito accorato e delicato del Maestro dinanzi al quale nulla più verrà detto. Durante l’ultima cena, Pietro rifiuterà in un primo momento il gesto di Gesù di lavare i suoi piedi. Sta capovolgendo ogni ordine gerarchico, non può ammetterlo, accettarlo. Se gli altri lo hanno fatto, lui non può transigere, indurisce lo sguardo e dice “Signore, tu non mi laverai i piedi mai!” (Gv 13,8a). E Gesù “Se non ti laverò i piedi, non avrai parte con me” (Gv 13,8b). Gesù vince di nuovo. Come può non vincere l’amore anche dinanzi a un cuore che ama alla maniera della logica umana. L’amore di Dio non ha logiche che reggano.

“Giubila […] a te viene il tuo re, umile cavalca un asino, con un puledro figlio di asina” (Zc 9,9)

Gesù entra anche in te. È già presente e sta girando a dorso del suo asinello. Hai già visto dove si sia cacciato? Egli viene a te attraverso le cose più semplici. Noi spesso lo attendiamo guardando nell’alto dei cieli, nel gesto di aspettare un segno grandioso. Invece lui preferisce le vie degli uomini, quelle semplici ed immediate. Quali gli asinelli che sceglie per venire a noi e varcare le porte della nostra Gerusalemme? Le parole e la vita della persona che con me è una sola carne, dei miei figli, il dialogo con un amico, il volto di un fratello, le provocazioni di un sacerdote e di una suora, lo sguardo di un fanciullo, la voce del cuore? Quali gli asinelli che mi portano Gesù? Mi faccio vincere dalla sua semplicità o Lui c’è ed io lo attendo ancora con lo sfarzo di un regnante umano?  Lui è re, ma è diverso e lo farà capire dopo – “quello che io faccio, lo capirai dopo” (Gv 13,7) – nel gesto della consegna della sua vita per amore, sul talamo insanguinato della sua croce.

Se la nostra Gerusalemme lo accoglie, sarà Lui a mettere ordine tra il buio delle strade dove noi neppure vogliamo arrivare. Sarà lui a portare non qualcosa, ma l’amore del suo cuore, prendendoci per mano nel rivisitare situazioni e rapporti mal vissuti. Ci farà mettere in groppa al suo puledro e sarà Lui a condurci dove è bene andare nelle profondità del nostro cuore, dove vuol essere incontrato e dove vuol donarci la gioia della sua presenza e farci sperimentare la dolcezza del suo amore misericordioso.




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