6 Giugno 2016

6 Giugno 2016

Il ritratto

di don Silvio Longobardi

Dal Vangelo secondo Matteo (Mt 5,1-12)
In quel tempo, vedendo le folle, Gesù salì sul monte: si pose a sedere e si avvicinarono a lui i suoi discepoli. Si mise a parlare e insegnava loro dicendo:
«Beati i poveri in spirito,
perché di essi è il regno dei cieli.
Beati quelli che sono nel pianto,
perché saranno consolati.
Beati i miti,
perché avranno in eredità la terra.
Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia,
perché saranno saziati.
Beati i misericordiosi,
perché troveranno misericordia.
Beati i puri di cuore,
perché vedranno Dio.
Beati gli operatori di pace,
perché saranno chiamati figli di Dio.
Beati i perseguitati per la giustizia,
perché di essi è il regno dei cieli.
Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia. Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli. Così infatti perseguitarono i profeti che furono prima di voi».

Il commento

Si mise a parlare e insegnava loro dicendo” (5,2). Le beatitudini sono la carta d’identità del discepolo, uno specchio per verificare la reale disponibilità a vivere il Vangelo. Matteo pone questo annuncio all’inizio del Vangelo, in realtà rappresenta l’espressione più matura della fede, una sintesi eloquente ed esigente della sequela. Questa pagina è come un ritratto del discepolo, vi troviamo gli elementi essenziali di quella testimonianza alla quale tutti siamo chiamati. Ma prima ancora è il ritratto di Gesù, è di Lui che si parla. L’evangelista presenta il volto affascinante del Maestro per indicare ai discepoli quali sono i sentieri da percorrere. Le beatitudini richiedono un cammino. E tuttavia, l’evangelista le pone sulla soglia del Vangelo per ricordare che solo contemplando la meta … arriviamo alla meta. Se queste parole s’imprimono nel cuore fin dall’inizio, se diventano la luce che rischiara ogni nostra scelta, potranno dare un volto alla nostra vita. Un volto che assomiglia a quello di Gesù. Noi sperimentiamo continuamente la debolezza e tuttavia siamo chiamati a vivere fin d’ora come angeli. È il paradosso della fede. La coscienza della fragilità non deve impedire di accogliere questa Parola. Anzi, grazie ad essa evitiamo di impantanarci nella mediocrità. Le beatitudini diventano allora una salutare provocazione, un continuo invito a camminare verso la perfezione. Queste parole sono come una spina nella carne, non ci lasciano in pace, non ci fanno dormire sonni tranquilli. Ma saremo capaci? È una domanda che inquieta e non raramente genera una resa incondizionata. Il Signore chiede di fidarci di Lui e ripete anche a noi quello che un giorno disse a Paolo: “Ti basta la mia grazia” (2Cor 12, 10).

Oggi ci lasciamo guidare da una preghiera che Teresa di Lisieux ha scritto il 16 luglio 1897, due mesi prima di morire:

“Signore, la mia debolezza ti è nota: ogni mattino prendo la risoluzione di praticare l’umiltà e la sera riconosco che ho commesso ancora tante mancanze di orgoglio. A questa vista sono tentata di scoraggiarmi, ma so che lo scoraggiamento è anch’esso orgoglio: voglio quindi, o mio Dio, fondare la mia speranza su Te solo. Giacché tu puoi tutto, degnati di far nascere nell’anima mia la virtù che desidero. Per ottenere questa grazia dall’infinita tua misericordia, ti ripeterò molto spesso: «O Gesù, dolce ed umile di cuore, rendi il mio cuore simile al tuo»!”.



Briciole di Vangelo

di don Silvio Longobardi

s.longobardi@puntofamiglia.net

“Tutti da Te aspettano che tu dia loro il cibo in tempo opportuno”, dice il salmista. Il buon Dio non fa mancare il pane ai suoi figli. La Parola accompagna e sostiene il cammino della Chiesa, dona luce e forza a coloro che cercano la verità, indica la via della fedeltà. Ogni giorno risuona questa Parola. Ho voluto raccogliere qualche briciola di questo banchetto che rallegra il cuore per condividere con i fratelli la gioia della fede e la speranza del Vangelo.


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