24 Ottobre 2016

24 Ottobre 2016

Un’umanità che attende la pienezza

di don Silvio Longobardi

Dal Vangelo secondo Luca (Lc 13,10-17)
In quel tempo, Gesù stava insegnando in una sinagoga in giorno di sabato. C’era là una donna che uno spirito teneva inferma da diciotto anni; era curva e non riusciva in alcun modo a stare diritta.
Gesù la vide, la chiamò a sé e le disse: «Donna, sei liberata dalla tua malattia». Impose le mani su di lei e subito quella si raddrizzò e glorificava Dio.
Ma il capo della sinagoga, sdegnato perché Gesù aveva operato quella guarigione di sabato, prese la parola e disse alla folla: «Ci sono sei giorni in cui si deve lavorare; in quelli dunque venite a farvi guarire e non in giorno di sabato».
Il Signore gli replicò: «Ipocriti, non è forse vero che, di sabato, ciascuno di voi slega il suo bue o l’asino dalla mangiatoia, per condurlo ad abbeverarsi? E questa figlia di Abramo, che Satana ha tenuto prigioniera per ben diciotto anni, non doveva essere liberata da questo legame nel giorno di sabato?».
Quando egli diceva queste cose, tutti i suoi avversari si vergognavano, mentre la folla intera esultava per tutte le meraviglie da lui compiute.

Il commento

Stava insegnando in una sinagoga in giorno di sabato” (13,10). Annuncio e carità sono intimamente legati. Mentre parla a tutti, Gesù vede una donna inferma. Davanti a lui non c’è una folla anonima ma persone, ciascuno con la sua storia e con i suoi desideri incompiuti. La patologia di questa donna era evidente: “era curva e non riusciva in alcun modo a stare diritta” (13,11). Tutti la guardavano con compassione, forse con un senso di pena. Gesù invece posa su di lei il suo sguardo di amore e la chiama a venire presso di lui. Il verbo greco è prosephōnēo  che significa chiamare presso. Gesù chiede alla donna di avvicinarsi. La Parola invita sempre a uscire, a metterci in cammino. Questa donna vive nella vergogna e nella rassegnazione, da troppo tempo si trova in quelle condizioni e non ha più alcuna speranza. E difatti, non è lei che chiede qualcosa, è Gesù che la vede e la chiama. È un gesto totalmente gratuito, segno di quell’amore che non dimentica nessuno. Gesù manifesta la misericordia di Dio che ci raggiunge nella nostra condizione e ci dona quello che non abbiamo chiesto o più di quello che abbiamo chiesto. “Impose la mani su di lei e subito quella si raddrizzò e glorificava Dio” (13,13). L’evangelista sottolinea che la donna vive in quella infermità da diciotto anni: il numero ha un evidente valore simbolico: 6 indica la condizione terrena, radicalmente imperfetta. L’uomo è stato creato nel sesto giorno ed è chiamato a entrare nel settimo., quello in cui si compie la creazione. Ma in questo caso il numero 6 è moltiplicato per 3 e indica perciò una condizione di imperfezione prolungata nel tempo, come se la creazione non entrasse mai nel settimo giorno. Questa donna è icona di quell’umanità che vive curva e attende una pienezza, che non arriva, un’umanità che ha perso la speranza di poter entrare nel settimo giorno. Per quanto ci sforziamo, non siamo in grado di fare questo passaggio, solo Gesù può dire la Parola che ridona all’uomo la sua piena dignità e ci conduce alla pienezza. È la grazia che oggi chiediamo.



Briciole di Vangelo

di don Silvio Longobardi

s.longobardi@puntofamiglia.net

“Tutti da Te aspettano che tu dia loro il cibo in tempo opportuno”, dice il salmista. Il buon Dio non fa mancare il pane ai suoi figli. La Parola accompagna e sostiene il cammino della Chiesa, dona luce e forza a coloro che cercano la verità, indica la via della fedeltà. Ogni giorno risuona questa Parola. Ho voluto raccogliere qualche briciola di questo banchetto che rallegra il cuore per condividere con i fratelli la gioia della fede e la speranza del Vangelo.


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