Pellegrinaggio a Fatima

Insegnare ai nostri figli a guardare in alto

Santuario di Nostra Signora di Fatima

di Giovanna Pauciulo

Sono andata a Fatima come madre per imparare dalla madre, e ai piedi della Vergine Maria ho capito che anche a noi, genitori di oggi, la Madonna chiede di stare con Lei, di rivolgerci a Lei per essere aiutati ad essere figli ma anche per imparare ad essere genitori.

In occasione del centenario delle Apparizioni a Fatima ho preso parte a un pellegrinaggio dall’11 al 15 gennaio. È stato un viaggio speciale perché ho portato con me la mia ultima figlia di appena 5 anni e questo mi ha permesso di confrontare la mia esperienza genitoriale con quella della Vergine Maria e i tre pastorelli. Un’esperienza genitoriale molto importante e formativa.  Ci sono andata come madre per imparare dalla Madre. La parola che racchiude l’esperienza è ‘gratitudine’.  A Fatima Dio Padre si svela attraverso la Madre. È lei che con tenerezza e premura prepara i fanciulli ad accogliere la volontà di Dio, li accompagna ad entrare sempre di più nel mistero, li aiuta a comprendere, mostra loro la visione dell’inferno perché possano aderire con tutto il cuore e comprendere la portata del male così da decidersi per il Bene. I fanciulli che fino ad allora pregavano per gioco maturano la consapevolezza dell’importanza della preghiera e la necessità di pregare sempre. Allora ho pensato di seguire passo per passo le azioni della Vergine Madre, il suo modo di parlare ai fanciulli, lo stile pedagogico con cui li guida pian piano alla scoperta della loro missione. Ripercorriamo un po’ di storia: era il 13 maggio del 1917, domenica precedente l’Ascensione, dopo aver assistito alla Santa Messa, Lucia, Francesco e Giacinta portano il gregge a pascolare in un luogo detto “Cova da Iria”. Consumata la merenda, recitato il Santo Rosario, cominciano a giocare quando all’improvviso vedono un lampo. Pensando che sia in arrivo un temporale cominciano ad avviarsi col gregge verso casa. Poco dopo però ne vedono un altro e dopo pochi passi ecco apparire su di un piccolo leccio, una Signora tutta vestita di bianco, più brillante del sole. Suor Lucia, nel suo quarto memoriale del 1941, così racconta: “Eravamo così vicini a lei che ci trovavamo nella luce che la circondava o che, piuttosto, emanava da lei, forse solo a un metro e mezzo di distanza, più o meno. Allora la Madonna ci disse: “non abbiate timore! Non vi farò del male”. “Di dove siete?” le chiesi. “Sono del Cielo” rispose”. La Vergine Maria si lascia vedere da loro e gli chiede di guardare in alto, di guardare il cielo. Il cielo non è uno spazio definito è la pienezza di Dio. Dunque l’invito a guardare al cielo è l’invito a guardare a Dio. Cari genitori non è forse questo il nostro compito?  Non siamo noi che dobbiamo preparare la strada perché i nostri figli possano vedere Dio? O almeno possano orientarsi a Dio? È opportuno forse chiederci come viviamo la nostra fede, con lo sguardo rivolto in alto o con lo sguardo a terra? La Madonna dicendo che viene dal Cielo ci ricorda qual è la nostra destinazione, la meta verso cui camminare. Il che se da un lato ci sembra solo una informazione stradale in realtà ci svela anche chi siamo: creature destinate all’eternità. Così la Madonna mentre ci ricorda di cosa siamo fatti ci dice che il Cielo è l’orizzonte, la destinazione ultima. Ma noi viviamo con lo sguardo rivolto a terra, immersi nel terrore, nelle faccende, affossati dagli impegni, dalle scadenze, tanto da non aver il tempo per alzare lo sguardo e così la vita si svuota lentamente, si imbruttisce riempita da distrazioni futili e insignificanti e alla fine senza volerlo, finiamo col riempire anche la vita dei nostri figli delle stesse cose, insegniamo loro non la speranza della vita ma la lenta monotonia del quotidiano. Quindi guardando all’esempio di Maria a Fatima, mi ripropongo e propongo a voi di educare i nostri figli a guardare in alto. Guardare in alto significa non vivere nel terrore ma vivere di speranza. Sapere che la storia è nelle mani di Dio che provvede non senza il nostro impegno. Perché quel Dio che ci ha fatto senza di noi non può salvarci senza di noi.




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