Eutanasia

La piccola Marwa vivrà, ma è giusto che sia lo Stato a decidere sulla sua vita?

mani

di Giovanna Abbagnara

A Marwa sarà concesso di vivere: il Consiglio di Stato francese ha rigettato l’istanza dell’Ospedale che ne richiedeva la sospensione degli alimenti. Ora aspettiamo di sapere di Charlie in Inghilterra. Ma intanto ci chiediamo: è tutto nelle mani dello Stato? Si arriverà a questo anche in Italia?

Qualche giorno fa avevamo dato la notizia della piccola Marwa Bouchenafa, una bimba di Nizza ricoverata lo scorso 25 settembre, a soli 16 mesi, nell’ospedale di Marsiglia La Timone. Un grave enterovirus le ha provocato gravi lesioni cerebrali. Per i medici che la tengono in cura, non ci sono speranze, qualsiasi tipo di misura rappresenta un inutile accanimento terapeutico. I genitori si sono opposti. L’ospedale ha così deciso di portare il caso davanti al più alto tribunale amministrativo del Paese, il Consiglio di Stato, sostenendo che quella dei genitori di Marwa sia una irragionevole ostinazione. Il Consiglio di Stato francese ha deciso ieri che la piccola vivrà. Di questo ne siamo molto felici, specialmente pensando ai genitori. Commovente la dichiarazione del padre che con grande dolore aveva detto:  “Siamo consapevoli che Marwa ha un handicap non curabile, ma lo accettiamo. Lei e tutti i disabili hanno il diritto di vivere”. E la mamma Anissa: “Risponde alla mia voce e a quella di suo padre, non perdiamo la speranza. Marwa non è un animale malato da abbattere. Marwa è pienamente cosciente. È prigioniera del suo corpo. È handicappata e gli handicappati hanno il diritto di vivere”. Dopo il caso di Marwa ora restiamo in attesa di conoscere il destino del piccolo Charlie Gard, nato a Londra il 4 agosto scorso e che rischia anche lui di morire per via giudiziaria, visto che sul suo caso dovrà pronunciarsi il giudice dell’Alta Corte inglese. Charlie è affetto da una malattia rara. Come Marwa,  anche lui è alimentato con il sondino e aiutato a respirare da un tubicino. Anche i suoi genitori si oppongono all’azione messa in atto dai medici che si sono rivolti ai giudici per la sospensione dei trattamenti e anche degli alimenti, convinti che ciò serva a porre fine alle sofferenze del bambino. I genitori però stanno facendo di tutto per sottrarre il loro piccolo alle maglie della morte. La madre, Connie Yates, oltre a lanciare la campagna #CharlieFight per portare il figlio in America dove tenteranno una nuova terapia, ha dichiarato che lei e il marito erano “scioccati e spaventati quando abbiamo scoperto che ci avrebbero portato in tribunale” solo “ perché volevamo curare nostro figlio”. E che “non si può esprimere a parole quanto sia terribile vedere delle carte legali con sopra scritto il nome di nostro figlio. È come se Charlie fosse stato condannato a morte”.

Allo sconcerto per i due casi europei sopraggiunge una domanda legittima: “È giusto che siano i giudici a stabilire quando una vita è degna o meno di essere vissuta?”. Vorremmo anche noi arrivare in Italia con la Legge in questi giorni in discussione al Parlamento sulle Dat, Dichiarazioni Anticipate di Trattamento, a permettere allo Stato di regolamentare sulla vita e la morte dei cittadini? Qualcuno risponderà che al centro c’è il desiderio del malato. Un malato che vive una condizione di sofferenza e di dolore e che dipende in tutto e per tutto dagli altri, può decidere veramente in libertà?  E uno Stato può sostituirsi al desiderio dei genitori di custodire la vita dei suoi figli?




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