Adozioni difficili

In Italia ogni 3 giorni un’adozione fallisce e il bambino “viene restituito”

solitudine

di Marco Giordano

Che fine fanno i bambini disabili o quelli già grandi senza una famiglia? In Italia mediamente ogni 3 giorni un’adozione fallisce e il bambino “viene restituito”. Chi sostiene le adozioni, specie quelle difficili? Rispondere concretamente a questo bisogno sociale è un dovere di civiltà.

La storia

È stato difficilissimo prendere questa decisione, ma non siamo riusciti a continuare. Avevamo combattuto per accettare la nostra sterilità. Avevamo impiegato tempo e fatica anche ad aprici all’adozione. Quando dopo anni di attesa, ci hanno proposto di adottare due sorelline cerebrolese, di cui una già dodicenne, ho sentito una stretta al cuore.
Ho un fratello disabile. So cosa prova una famiglia quando si sente abbandonata da tutto e da tutti. So cosa vuol dire quando senti il vuoto delle istituzioni che si intreccia al vuoto di sensibilità sociale verso le problematiche legate ai figli affetti da gravi disabilità. Alla fine tutto resta sulle spalle dei genitori. Le famiglie sono sole ad affrontare la situazione, anche gli amici si dileguano: “Non ce la faccio a vedere quel bambino!” ti dicono. Come se per un genitore fosse più facile.
Nonostante tutto, però, non ce la sentivamo di rinunciare a quell’adozione senza averci provato. Abbiamo pensato di poterlo fare. All’inizio ci siamo detti che se quelle bambine erano state proposte proprio a noi, era perché avevamo già esperienza di quel tipo. Così abbiamo accettato. Fatti tutti i documenti, le abbiamo portate a casa. I miei familiari erano contrari. L’unica che avevo dalla mia parte era mia madre. Mio padre non si espresse mai né in un senso né nell’altro. A nessuno fa piacere vedere delle bambine che stanno male e soprattutto quando si presentano le prime crisi. Cerchi aiuto e non c’è nessuno. Hai bisogno di un incoraggiamento. Di un supporto competente, ma se alzi la cornetta del telefono dall’altro lato senti solo il vuoto.
Sono trascorse appena tre settimane e alla fine siamo stati costretti ad ammettere che non potevamo andare avanti. Le abbiamo “restituite”, nella certezza di non avere le forze per sostenere le loro problematiche. Sono tante le volte in cui mi chiedo che fine faranno? Resteranno tutta la vita in una struttura anonima? Troveranno prima o poi qualcuno disposto a farsi carico del loro stato? E noi, io e mio marito, che fine faremo ora che sentiamo di averle abbandonate? Come riusciremo a superare questo senso di colpa che ci fa star male tanto quanto pensare di lottare al loro fianco?

Situazioni come questa sono spesso drammaticamente ordinarie. Se ne parla poco e sembra che a nessuno importi. Eppure da oltre trent’anni la legge italiana prevede che il Servizio Pubblico deve impegnarsi nel sostenere le adozioni di bambini e ragazzi con disabilità o che abbiano superato i dodici anni. A sancirlo è l’articolo 6, comma 8, della legge 184/1983. Di questa previsione, come di varie altre che riguardano il sostegno all’accoglienza dei minorenni nelle famiglie, si è realizzato molto poco. Certo qui siamo di fronte ad una latitanza paradossale. Un bambino con disabilità, un ragazzo già grande, se privi di un ambiente familiare, crescono in una comunità di accoglienza (casa famiglia, comunità educativa…) con costi a carico dello Stato di almeno 30mila euro l’anno. Ebbene, quando vi fosse una famiglia disposta ad adottare uno di questi piccoli, anche solo per motivi di finanza pubblica si dovrebbe esultare, ringraziare sentitamente e, soprattutto, non scomparire. Sì, perché una volta che il bambino è diventato figlio della famiglia adottiva, quasi sempre le istituzioni interrompono l’accompagnamento.
Eppure non ci vuole molto a comprendere che l’adozione, ogni adozione, e ancor più quelle in cui i minori sono portatori di handicap, è un’avventura complessa. Se si è lasciati a sé stessi è facile scoppiare. Le statistiche parlano chiaro: ogni 3 giorni un’adozione fallisce e il bambino “viene restituito”. Sono molte di più quelle che, pur non interrompendosi ufficialmente, sono segnate da varie difficoltà, tanto per gli adottanti quanto per gli adottati.
Una famiglia che adotta, ed anche il minore che viene adottato, hanno bisogno e diritto ad essere accompagnati sul piano psicologico, educativo, sociale, economico e, ove ve ne fosse la necessità, anche sul piano psicoterapeutico e riabilitativo.
Abbandonare le adozioni a se stesse, lasciare che vadano in crisi, è una grave omissione, in primo luogo nei confronti di bambini e ragazzi che hanno già alle spalle storie di disagio e che non meritano ennesimi disastri. In secondo luogo nei confronti delle famiglie adottive che vengono facilmente investite da un enorme carico emotivo, pratico e, a volte, anche economico. Infine nei confronti delle altre potenziali famiglie adottive che, vedendo il calvario di chi le precede, si guarderanno bene dal proporsi.
Occorre che lo Stato centrale, le Regioni e i Comuni facciano fino in fondo la loro parte. In questo senso una recente campagna nazionale di pressione, chiamata “DONARE FUTURO” (www.dirittoallafamiglia.it), chiede l’attivazione di concrete misure urgenti. Saranno le nostre istituzioni capaci di rispondere a questo dovere di civiltà?

 

 




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1 risposta su “In Italia ogni 3 giorni un’adozione fallisce e il bambino “viene restituito””

Carissimo Marco,
penso che il tema dell’adozione, soprattutto quella dei figli con disabilità o in età adulta, sia ancora oggi un tema poco trattato e preso in considerazione.
Concordo con te che lo Stato centrale, le Regioni e i Comuni non fanno fino in fondo la loro parte, ma anche la Chiesa e le associazioni per la famiglia non trattano molto questa tematica.
Penso che l’associazione Progetto famiglia di cui sei presidente potrebbe fare di più. Conosco le motivazioni ostative che non hanno consentito a Progetto Famiglia di occuparsi di adozione nazionale e internazionale, ma si potevano attivare già da tempo dei percorsi in preparazione all’adozione.
La formazione all’adozione è un servizio importante e doveroso per una associazione come Progetto famiglia, in quanto non necessita di alcuna autorizzazione. Molte coppie che vogliono adottare sono allo sbando perchè non sanno da dove iniziare e cosa fare.
Progetto famiglia oltre all’affido familiare dovrebbe occuparsi anche di adozione con percorsi di formazione ad hoc per aiutare e sostenere le coppie adottanti.
Credo che la formazione sia importante più di essere un ente autorizzato che fa le adozioni, in quanto senza la conoscenza non si può partire per il viaggio dell’adozione, oggi ancora difficile e pieno di insidie. Forse con un pò di formazione in più, tante coppie consapevoli del bagaglio a disposizione possono fare meno errori e in special modo non contribuiscono ad aumentare le sofferenze e i traumi dei figli abbandonati con disabilità o in età adulta.
Questo commento non è una critica all’operato di Progetto Famiglia, che come Associazione già fa molto per la famiglia, ma un invito ad interessarsi anche all’adozione per aiutare tante coppie che quando decidono di inoltrarsi nella giungla delle adozioni non sapendo cosa fare spesso rischiano di abbandonare.

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