Vedovanza

Cosa accade per un figlio quando il padre o la madre viene a mancare?

di Giovanna Pauciulo

Ciò di cui un figlio ha bisogno è la presenza di un padre e di una madre. È questo il progetto di Dio, ma cosa succede se uno dei due viene a mancare? Come possiamo svolgere al meglio il compito educativo anche da vedovi?

A chi di voi non è mai capitato di vedere una madre che, abbracciando il proprio figlio, se lo appoggia sul seno, lo dondola, lo avvolge in un abbraccio tenero e rassicurante. Allo stesso modo il padre tende le braccia verso il figlio, ma lo alza sulle spalle. Il bambino si diverte, ride. Da lassù gli sembra di poter vedere il mondo intero.

In qualche modo questa diversità di atteggiamenti rivela la diversità di ruoli dei genitori.
Senza voler creare rigidi schemi possiamo dire che la madre è accudente, è affettiva, svolge un particolare ruolo nello sviluppo interiore e spirituale del figlio. Il padre, invece, taglia questo cordone ombelicale. Interviene nella relazione madre-figlio e favorisce lo sviluppo autonomo del bambino, la sua autostima.

Un bambino nasce dall’amore tra un uomo e una donna che, in forza di questo amore, diventano padre e madre. Il compito educativo si compie nella misura in cui essi vivono un amore coniugale in cui la loro diversità diventa la forza della loro unione. In questo contesto i figli possono crescere in maniera armonica ed equilibrata.

È questo il progetto di Dio. Non c’è dubbio che tutto ciò di cui un figlio ha bisogno è la presenza di un padre e di una madre che interagiscono tra di loro, ma cosa accade se uno dei due viene a mancare?

È una condizione sempre più diffusa e per svariate ragioni. Alcuni non hanno scelto di perdere il coniuge. Altri sono stati abbandonati. Altri ancora hanno concepito figli al di fuori del matrimonio. Situazioni diverse e imprevedibili e sarebbe bello poter individuare la via maestra per ogni condizione, ma non possiamo essere così dettagliati. Perciò cerchiamo di individuare le coordinate comuni alle diverse situazioni a partire da una delle condizioni più dolorose e difficili: la vedovanza.

Perdere un coniuge è una situazione dolorosa, da molti vissuta come una punizione. Non è così! La vedovanza è, piuttosto, una vicenda che appartiene alla grammatica dell’amore coniugale. Solo chi è sposato può diventare vedovo. Allo sposo vedovo viene chiesto di esprimere in modo nuovo l’alleanza coniugale alla luce della quale continuare a vivere la responsabilità educativa.

Molti sposi di fronte alla morte del proprio coniuge si sentono smarriti, abbandonati, ma la morte non ha il potere di spezzare il filo dell’amore. Spesso la reazione istintiva è la rabbia soprattutto quando ci sono figli che hanno bisogno del genitore perduto. Pensiamo ai bambini ancora piccoli che non hanno più la loro mamma. La rabbia, a volte anche per i genitori credenti, è verso Dio che ha permesso questa situazione.

Il primo passaggio dunque è questo: riconciliarsi con la propria storia e con il Signore della vita che non abbandona e non punisce. Accettare la vedovanza come una stagione dell’amore, la naturale evoluzione della vicenda coniugale. Solo dopo si può e si deve parlare ai figli di quanto è accaduto.

Di fronte alla morte precoce del coniuge, nel genitore prevale il tentativo di proteggere i figli dalla crudele realtà della morte. Ma questo è un grave errore. Non rendere i figli interpreti attivi e intelligenti della morte, è peggio che parlare loro della morte del genitore. L’assenza di notizie, il non parlare, crea nei figli una presenza illusoria, immaginaria che si rivela molto più difficile da gestire rispetto ad un dolore riconosciuto. La presenza dell’altro genitore è rassicurante. La sua rielaborazione dei fatti, la sua interpretazione di quanto accaduto è determinante. Il figlio sarà sereno nella misura in cui il genitore saprà offrirgli una chiave di lettura equilibrata, lontana dalla disperazione, dall’amarezza, dal senso di perdita.

Perciò è molto importante offrire ai figli fotografie, ricordi, albero genealogico, aneddoti. Certamente gradiranno e potranno formarsi un’immagine il più possibile vicina alla realtà di quel genitore che li accompagnerà comunque per tutta la vita anche se in un modo diverso.

Si tratta di un grande dono che il genitore può e deve fare al figlio. Così facendo il genitore presente mantiene aperta la possibilità di un incontro positivo con la figura mancante. Una figura che, a tempo debito, potrà essere colmata da altre eventuali figure di riferimento che si rivelino affidabili sia nella rete familiare sia in quella parrocchiale, amicale, scolastica, sportiva ed educativa in genere.




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