14 settembre 2017

14 Settembre 2017

Il verbo rivoluzionario

di don Silvio Longobardi

Dal Vangelo secondo Giovanni (Gv 3,13-17)
In quel tempo, Gesù disse a Nicodèmo:
«Nessuno è mai salito al cielo, se non colui che è disceso dal cielo, il Figlio dell’uomo. E come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell’uomo, perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna.
Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna.
Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui».

Il commento

Dio ha tanto amato [ēgápēsenil mondo da dare il Figlio unigenito” (3,16). Queste parole avvolgono di splendida luce la croce di Gesù e spiegano perché è diventata per noi il simbolo stesso della fede. In se stessa la croce è segno dell’ingiustizia e della malvagità di cui l’uomo è capace. È un tentativo di soffocare la luce. Gesù non ama la croce ma accoglie e vive la croce per amore. E così risana ogni umana ingiustizia. La Croce diventa la cattedra di un insegnamento nuovo e assolutamente impensabile prima di lui. Agli inizi del suo ministero Gesù predica con passione e suscita stupore nella gente che lo ascolta: “Un insegnamento nuovo, dato con autorità” (Mc 1,27). Questa nuova dottrina troverà il suo sigillo e la sua radicalità per mezzo della croce. Facendo della croce un gesto di amore, Gesù svela il mistero della sofferenza. Segno della radicale imperfezione della creatura, la sofferenza appare come il luogo della condanna, l’immagine di una storia segnata dal peccato. Il dolore, infatti, è apparso sempre come un peso insopportabile che contrasta con la nostalgia di perfezione che dimora nell’uomo. Gesù ha riscattato questo destino di morte. L’amore illumina la croce, vince ogni ombra di morte e fa della sofferenza il luogo della salvezza, la via ordinaria della perfezione. Il dolore appare come una grazia, un dono che permette a ciascuno di partecipare alla redenzione. Non è la croce che salva ma l’amore, non è la sofferenza che purifica ma l’amore. Tutto questo è racchiuso nel verbo agapáô che annuncia un amore che l’uomo non conosce. È l’amore di chi non cerca se stesso ma è pronto a donare se stesso. Questo amore rivoluziona la storia. Non siamo in grado di scoprire e di coniugare questo verbo, se non contempliamo il volto di quel Dio che si è lasciato inchiodare sulla croce. Ricordando la sua professione religiosa, Teresa scrive: “Mi sono offerta a Gesù affinché Egli compia perfettamente in me la sua volontà senza che mai le creature vi pongano ostacolo…”. Oggi chiediamo di imparare a coniugare questo verbo nei piccoli fatti della nostra vita.



Briciole di Vangelo

di don Silvio Longobardi

s.longobardi@puntofamiglia.net

“Tutti da Te aspettano che tu dia loro il cibo in tempo opportuno”, dice il salmista. Il buon Dio non fa mancare il pane ai suoi figli. La Parola accompagna e sostiene il cammino della Chiesa, dona luce e forza a coloro che cercano la verità, indica la via della fedeltà. Ogni giorno risuona questa Parola. Ho voluto raccogliere qualche briciola di questo banchetto che rallegra il cuore per condividere con i fratelli la gioia della fede e la speranza del Vangelo.


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stiamo vivendo un tempo di prova e di preoccupazione riguardo il presente e il futuro. Questo virus è entrato prepotentemente nella nostra quotidianità e ci ha obbligati a rivedere i tempi del lavoro, delle amicizie, delle Celebrazioni. Insomma, ha rivoluzionato tutta la nostra vita e non sappiamo fin dove ci porterà e per quanto tempo. Ci fidiamo delle indicazioni che provengono dal Governo e dagli organi sanitari preposti ma nello stesso tempo manifestiamo con la nostra fede che “il Signore ci guiderà sempre” (cfr Is 58,11).

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