30 ottobre 2017

30 Ottobre 2017

A testa alta

di don Silvio Longobardi

Dal Vangelo secondo Luca (Lc 13,10-17)
In quel tempo, Gesù stava insegnando in una sinagoga in giorno di sabato. C’era là una donna che uno spirito teneva inferma da diciotto anni; era curva e non riusciva in alcun modo a stare diritta.
Gesù la vide, la chiamò a sé e le disse: «Donna, sei liberata dalla tua malattia». Impose le mani su di lei e subito quella si raddrizzò e glorificava Dio.
Ma il capo della sinagoga, sdegnato perché Gesù aveva operato quella guarigione di sabato, prese la parola e disse alla folla: «Ci sono sei giorni in cui si deve lavorare; in quelli dunque venite a farvi guarire e non in giorno di sabato».
Il Signore gli replicò: «Ipocriti, non è forse vero che, di sabato, ciascuno di voi slega il suo bue o l’asino dalla mangiatoia, per condurlo ad abbeverarsi? E questa figlia di Abramo, che Satana ha tenuto prigioniera per ben diciotto anni, non doveva essere liberata da questo legame nel giorno di sabato?».
Quando egli diceva queste cose, tutti i suoi avversari si vergognavano, mentre la folla intera esultava per tutte le meraviglie da lui compiute.

Il commento

Ci sono sei giorni in cui si deve lavorare; in quelli dunque venite a farvi guarire e non in giorno di sabato” (13,14). Dinanzi alla guarigione operata da Gesù, la reazione del capo della sinagoga appare non solo spropositata ma anche carica di ingratitudine. Le sue parole sono teologicamente sbagliate perché il sabato è proprio il giorno in cui Israele contempla la pienezza di Dio, quella promessa e non ancora data, quella verso cui il popolo santo cammina con fatica e speranza. Non è la prima volta che Gesù compie un miracolo in giorno di sabato (6,6-11) ma in questo racconto il vocabolo sabato ritorna cinque volte, un’insistenza non casuale. Il sabato, infatti, nella tradizione giudaica rappresenta il settimo giorno, quello in cui Dio stesso si riposò (Gen 2,2). Seguendo il ritmo della creazione, sei giorni l’uomo lavora e collabora con Dio per rendere più bella la creazione. Il settimo giorno invece ferma ogni attività per contemplare l’opera di Dio. Ma ciò egli vede non è più il mondo uscito dalle mani di Dio, non è più il cosmos cioè l’universo dove tutto era segnato dalla bellezza e dall’armonia. Egli vede un mondo sfigurato dalle mani dell’uomo, una creazione abbrutita dal male e dal peccato. La donna curva presente nella sinagoga, ammalata da diciotto anni, una donna che “non riusciva in alcun modo a stare diritta” (13,11), è appunto icona di questa umanità ferita dalla sofferenza. Celebrare il settimo giorno non significa contemplare quel Dio che tutto ha creato ma anche e soprattutto quel Dio che vuole ricreare ogni cosa e portare tutto al suo naturale compimento. La guarigione operata da Gesù è il segno tangibile di questa decisa volontà di Dio di rinnovare tutte le cose in Cristo, come annuncia Paolo (Ef 1,10). Il gesto di Gesù annuncia che è giunta l’ora di fare nuove tutte le cose (Ap 21,5), la guarigione è primizia e promessa che un giorno tutti gli uomini potranno camminare a testa alta. Non è l’ingenua illusione di un poeta ma la Parola scritta con la carne e il sangue del Figlio di Dio.



Briciole di Vangelo

di don Silvio Longobardi

s.longobardi@puntofamiglia.net

“Tutti da Te aspettano che tu dia loro il cibo in tempo opportuno”, dice il salmista. Il buon Dio non fa mancare il pane ai suoi figli. La Parola accompagna e sostiene il cammino della Chiesa, dona luce e forza a coloro che cercano la verità, indica la via della fedeltà. Ogni giorno risuona questa Parola. Ho voluto raccogliere qualche briciola di questo banchetto che rallegra il cuore per condividere con i fratelli la gioia della fede e la speranza del Vangelo.


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