Lavoro e famiglia

Un lavoro a nero è preferibile a nessun lavoro?

lavoro

di Michela Giordano

“Il lavoro resta la prima e la più grave, questione sociale. È necessario che ve ne sia in ogni famiglia”. Così il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ha parlato agli italiani in occasione del tradizionale discorso di fine anno. Ma dove il lavoro non c’è, quello a nero rappresenta spesso l’unica drammatica soluzione per molte famiglie.

Il 2018 è cominciato, per me, all’insegna di un interrogativo sul quale abbiamo discusso, in famiglia, in attesa della mezzanotte, lo scorso 31 dicembre: considerato il particolare momento di crisi dell’economia mondiale, un lavoro pagato a nero non è, forse, preferibile a nessun lavoro?

Lo spunto ci è arrivato dal tradizionale messaggio a reti unificate del Presidente della Repubblica. “Il lavoro – ha indicato Sergio Mattarella – resta la prima, e la più grave, questione sociale. Anzitutto per i giovani, ma non soltanto per loro. È necessario che ve ne sia in ogni famiglia”.

Tra i commensali l’argomento ha suscitato riflessioni della più svariata natura, con battute esilaranti anche in virtù dell’alcool eccezionalmente consumato con generosità. In sintesi, due le scuole di pensiero contrapposte. Da una parte i disincantati, che sostenevano: “Quando c’è da pagare una bolletta o portare il figlio dal dentista, non c’è troppo spazio per le questioni di principio”. “Da un lavoro c’è da aspettarsi che sia puntualmente pagato, anche rinunciando a qualsiasi forma di tutela”. Dall’altra parte i puristi: “Non è questione di mero principio, ma di assoluta sostanza”, considerato che “quei pagamenti in nero non solo privano il lavoratore di prerogative (accumulo pensione, accesso a crediti bancari, agevolazioni in caso di maternità o malattie), ma consentono anche a chi il lavoro lo fornisce di accumulare una ricchezza indebita, perché frutto di un sistema drogato”. D’altronde, lo stesso Mattarella lo aveva appena sottolineato, quando ha detto che “va garantita la tutela dei diritti e la sicurezza per tutti coloro che lavorano”.

Ho cercato, nei giorni successivi, la posizione della Chiesa, sull’argomento. Tante volte il Pontefice si è espresso in merito, indicando come peccato grave il ricatto di chi offre un posto di lavoro a nero. A ottobre scorso, in occasione della 48ª Settimana Sociale dei cattolici italiani, nel ribadire che “senza lavoro non c’è dignità”, papa Francesco ha ammonito: “Offendono la dignità del lavoratore il lavoro in nero, quello gestito dal caporalato, i lavori che discriminano la donna e non includono chi porta una disabilità. Anche il lavoro precario è una ferita aperta per molti lavoratori, che vivono nel timore di perdere la propria occupazione. Io ho sentito tante volte questa angoscia: l’angoscia di poter perdere la propria occupazione; l’angoscia di quella persona che ha un lavoro da settembre a giugno e non sa se lo avrà nel prossimo settembre. Precarietà totale. Questo è immorale. Questo uccide: uccide la dignità, uccide la salute, uccide la famiglia, uccide la società. Il lavoro in nero e il lavoro precario uccidono”.

La penso come Francesco. A costo di sentirmi dire che sono la privilegiata moglie di un dipendente pubblico e che “non posso capire”. Il centro è la dignità, al cospetto della quale non si può indietreggiare. Mi piacerebbe che lo capissero, certi spocchiosi imprenditori, che non versano i contributi ai propri dipendenti, ma poi se ne vanno in giro indossando costosi orologi. Siamo proprio sicuri che il loro non sia un peccato (oltre che un reato) uguale a quello commesso da chi spaccia droga per strada?




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