Aiuti umanitari

L’aborto come risposta all’emergenza umanitaria? L’Onu dice no

di Gabriele Soliani

Per l’Organizzazione Mondiale della Sanità, la Planned Parenthood e l’Ipas l’accesso all’aborto libero deve essere inserito tra gli aiuti ai Paesi poveri. L’Assemblea Generale dell’Onu, tuttavia, si rifiuta. Una piccola vittoria, ma è meglio non abbassare la guardia.

Prima di concludere il 2017 al palazzo di vetro dell’ONU è successo qualcosa che ha sorpreso gli ambienti laicisti. Una specie di vittoria “prolife”, almeno in teoria. L’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha rifiutato di considerare l’aborto come parte essenziale della risposta all’emergenza umanitaria.

Già dalla scorsa estate il Consiglio Economico e Sociale delle Nazioni Unite raccomandava l’approvazione nel “pacchetto” di servizi minimi essenziali di salute sessuale e riproduttiva, noto come MISP, dell’accesso all’aborto “sicuro e legale”. Questo nel progetto degli aiuti umanitari.

Fino all’estate scorsa l’aborto non figurava fra gli aiuti ai Paesi poveri. C’è voluto lo zampino delle multinazionali dell’aborto come Planned Parenthood e Ipas, agenzia quest’ultima che riporta nel sito istituzionale la sua missione che proclama: “Lavoriamo globalmente per garantire che le donne e le ragazze abbiano un migliore accesso all’aborto e alla contraccezione”. Fra le agenzie dell’ONU è stata proprio l’UNFPA, Fondo per la Popolazione delle Nazioni Unite, l’attore chiave del MISP che ha spinto per promuovere l’aborto come “emergenza umanitaria”.

Ma come è suo solito l’UNFPA (che quest’anno ha perso i finanziamenti degli USA) ha cercato di farlo passare in modo subdolo e quasi nascosto. Infatti non nominava l’aborto tra gli obiettivi principali del MISP ma lo menzionava solo in una piccola nota, mentre l’Organizzazione Mondiale della Sanità, la Planned Parenthood e l’Ipas avrebbero preferito un approccio più diretto. Comunque nella versione finale del MISP l’accesso all’aborto sicuro è considerato come una “necessità” negli ordinamenti giuridici di tutti gli Stati e in tutte le politiche nazionali e si chiede che debba esserci l’aborto tra gli aiuti umanitari.

Fra i “servizi essenziali” non sono menzionati invece quelli che sarebbero il minimo e cioè l’accesso alla salute, all’acqua, ai servizi igienici, al cibo o riparo di base. Forse questa palese discrepanza e ingiustizia ha spinto l’Assemblea Generale dell’ONU a rifiutare l’aborto come parte essenziale della risposta all’emergenza umanitaria. Una piccola vittoria che ha infastidito le Agenzie le quali vedono scricchiolare tutte le loro sicurezze. I Paesi dell’est Europa hanno invertito la tendenza e cominciano a proporre risposte concrete alternative all’aborto. Non ci facciamo però molte illusioni perché i pro aborto hanno molti tentacoli e stratagemmi persuasivi impensati, oltre a molti denari.




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