Biotestamento

Patrizia Cocco: abbiamo fatto tutto il possibile?

di Ida Giangrande

Patrizia Cocco, 49 anni, affetta da Sla, con l’entrata in vigore della legge sulle Dat ha scelto la morte assistita. È il primo caso in Italia. Dall’altro lato come due altari contrapposti, c’è Marco Pedde, anche lui 49enne di Nuoro ha fatto della Sla “la sua seconda vita”. Due diversi modi di vivere lo stesso dolore.

Stessa età, stesso luogo, stessa malattia, diverso modo di vivere il dolore. Potrebbe essere questa una prima lettura delle storie che stanno sconvolgendo il modo di intendere la vita nella nostra epoca. Da un lato dj Fabo, dall’altro dj Fanny. L’uno il contraltare dell’altro pur avendo molto in comune. E come una formula che si ripete uguale a se stessa, ecco di nuovo due persone, due storie, due mondi, interrotti bruscamente dalla stessa malattia: Patrizia Cocco e Marco Pedde. Le scelte che li distinguono spaccano l’opinione pubblica e mettono in discussione il concetto di vita, di scelta, di autodeterminazione.

Il dolore fa male, sembrerebbe un inutile assioma, ma è una di quelle verità che ci permette di toccare con mano la fragilità umana. E allora, nessun giudizio solo tanti dubbi: è giusto morire per le proprie fragilità? È giusto morire di disperazione? Quando la sofferenza brucia le energie, spegne il moto della vita, appiattisce ogni cosa, se non si trova un senso al dolore cosa resta a parte il buio negli occhi e nel cuore? E forse questo che distingue le due storie di Nuoro, il senso del dolore?

Non ce l’ha fatta Patrizia Cocco, 49 anni affetta da Sla (Sclerosi laterale amiotrofica) e ha deciso drammaticamente di farla finita. È andata via tenendo la mano di sua madre. Aveva scoperto la malattia cinque anni fa. Da allora è stato un susseguirsi di prove dolorosissime fino all’entrata in vigore della legge sul biotestamento. Come da protocollo i medici le hanno chiesto quattro volte se fosse convinta di voler morire, e poi via con la sedazione profonda, l’estubazione e la conseguente morte per soffocamento. La fine di Patrizia segna un punto di non ritorno per il nostro Paese: si tratta infatti del primo caso del quale si ha notizia di applicazione chiesta e ottenuta della nuova legge sul biotestamento.

Dall’altro lato Marco Pedde, anche lui 49enne di Nuoro, anche lui affetto da Sla, ma dalla sua carrozzella continua ad urlare che “la vita è bella”. Marco, ha cominciato quella che lui stesso chiama la sua seconda vita nel febbraio 2010, quando gli fu diagnosticata la Sla. La malattia gli ha tolto tanto, il suo lavoro, la sua vita affettiva, ma non la voglia di continuare a lottare. È stato appena nominato vicepresidente della sezione cittadina dell’Associazione italiana sclerosi laterale amiotrofica, collabora con il settimanale diocesano L’Ortobene. La sua rubrica Scrivendo con gli occhi è stata rilanciata a livello nazionale dall’agenzia Sir. In un’intervista rilasciata al quotidiano Avvenire dice: “Ho profondo rispetto per chi sceglie autonomamente e serenamente di non accettare questo differente modo di vivere e allo stesso modo per coloro che scelgono di continuare a vivere questa diversa condizione. – ma aggiunge – Per la ricerca medica il percorso è lungo e travagliato, mentre il sostegno diretto alle famiglie deve essere immediato e concreto”.

Dunque la parola chiave per leggere la temperie culturale del nostro tempo non sembra essere dolore, dignità o malattia, ma solitudine. La solitudine sociale in cui spesso vengono lasciati i nostri disabili. La solitudine delle famiglie che devono farsi carico da sole di un problema serio. Lo denunciava bene anche Loris Bertocco, 60enne veneziano gravemente disabile, la cui lettera rilasciata a Repubblica prima di andare a cercare la morte in altri Stati è andata nel dimenticatoio: “Abbandonato dalle istituzioni ormai non ho più soldi per curarmi”, scriveva.

A questo punto è lecito domandarsi se abbiamo posto le condizioni necessarie perché una persona con grave disabilità potesse vivere la propria esistenza senza sentirsi un peso, un essere improduttivo. Continuo a chiedermi se prima di normare il diritto alla morte, abbiamo fatto tutto quello che era in nostro potere per normare il diritto alla vita.




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