12 marzo 2018

12 Marzo 2018

La luce della croce

di don Silvio Longobardi

Dal Vangelo secondo Giovanni (Gv 4,43-54)
In quel tempo, Gesù partì [dalla Samarìa] per la Galilea. Gesù stesso infatti aveva dichiarato che un profeta non riceve onore nella propria patria. Quando dunque giunse in Galilea, i Galilei lo accolsero, perché avevano visto tutto quello che aveva fatto a Gerusalemme, durante la festa; anch’essi infatti erano andati alla festa.
Andò dunque di nuovo a Cana di Galilea, dove aveva cambiato l’acqua in vino. Vi era un funzionario del re, che aveva un figlio malato a Cafàrnao. Costui, udito che Gesù era venuto dalla Giudea in Galilea, si recò da lui e gli chiedeva di scendere a guarire suo figlio, perché stava per morire. Gesù gli disse: «Se non vedete segni e prodigi, voi non credete». Il funzionario del re gli disse: «Signore, scendi prima che il mio bambino muoia». Gesù gli rispose: «Va’, tuo figlio vive». Quell’uomo credette alla parola che Gesù gli aveva detto e si mise in cammino.
Proprio mentre scendeva, gli vennero incontro i suoi servi a dirgli: «Tuo figlio vive!». Volle sapere da loro a che ora avesse cominciato a star meglio. Gli dissero: «Ieri, un’ora dopo mezzogiorno, la febbre lo ha lasciato». Il padre riconobbe che proprio a quell’ora Gesù gli aveva detto: «Tuo figlio vive», e credette lui con tutta la sua famiglia. Questo fu il secondo segno, che Gesù fece quando tornò dalla Giudea in Galilea.

Il commento

Avendo udito che Gesù era venuto dalla Giudea in Galilea, si recò da lui” (4, 47). Il protagonista del racconto evangelico è un funzionario del re (4,46) ma il ruolo pubblico passa in secondo piano, egli è presente come un padre angosciato perché il figlio sta per morire. È un uomo che può contare su amicizie potenti ma dinanzi alla sofferenza si scopre impotente. Egli però intravede una possibilità: sente parlare di Gesù e si reca da Lui con umiltà e fiducia: “Si recò da lui” (4,47), leggiamo nel Vangelo. Il verbo apérchomai fa pensare a qualcuno che parte per un viaggio. Vivere l’esperienza di fede significa mettersi in cammino. Non conosce personalmente il Rabbì di Nazaret ma le notizie che ha ricevuto sono sufficienti per aprire la finestra della speranza e convincerlo a muoversi per incontrarlo. È il primo passo della fede. Quando si trova dinanzi a Gesù gli consegna la sua angoscia, lui che è abituato a comandare, si rivolge con grande umiltà: “Signore, scendi prima che il mio bambino muoia” (4,49).

La vicenda è ricca di particolari interessanti ma io vi chiedo oggi di fermare l’attenzione su un solo aspetto. Quest’uomo sperimenta una particolare sofferenza, vedere morire un figlio è la cosa più dura che possa capitare nella vita. Quest’uomo incontra Gesù proprio perché si trova in una condizione di estrema sofferenza. Quante volte quella sofferenza, che nessuno vuole e che spesso consideriamo come un impedimento, diventa la premessa per andare oltre noi stessi e incontrare Gesù? Non mi riferisco solo alla malattia. Quando ci sentiamo impotenti, quando percepiamo il vuoto, quando comprendiamo di non essere capaci di rispondere con le nostre forze a quello che la vita ci propone, abbiamo bisogno di altro. Abbiamo bisogno di un Altro. L’esperienza della croce divenne per il funzionario l’occasione per ricevere la luce della fede e scoprire che in ogni sofferenza Dio ha racchiuso una parola di vita. “Non c’è croce senza Cristo”, diceva san Pio da Pietrelcina. Oggi chiediamo la grazia di poter custodire questa certezza nel tempo della prova.



Briciole di Vangelo

di don Silvio Longobardi

s.longobardi@puntofamiglia.net

“Tutti da Te aspettano che tu dia loro il cibo in tempo opportuno”, dice il salmista. Il buon Dio non fa mancare il pane ai suoi figli. La Parola accompagna e sostiene il cammino della Chiesa, dona luce e forza a coloro che cercano la verità, indica la via della fedeltà. Ogni giorno risuona questa Parola. Ho voluto raccogliere qualche briciola di questo banchetto che rallegra il cuore per condividere con i fratelli la gioia della fede e la speranza del Vangelo.


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