
Il filo dell’amicizia
di don Silvio Longobardi
Dal Vangelo secondo Giovanni (Gv 15,12-17)
In quel tempo, disse Gesù ai suoi discepoli: «Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri come io ho amati voi. Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la sua vita per i propri amici. Voi siete miei amici, se fate ciò che io vi comando. Non vi chiamo più servi, perché il servo non sa quello che fa il suo padrone; ma vi ho chiamati amici, perché tutto ciò che ho udito dal Padre mio l’ho fatto conoscere a voi. Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi e vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto e il vostro frutto rimanga; perché tutto quello che chiederete al Padre nel mio nome, ve lo conceda. Questo vi comando: che vi amiate gli uni gli altri».
Il commento
“Vi ho chiamato amici” (15,15). L’evangelista inserisce questa parola nei discorsi conclusivi ma a ben vedere è una rivelazione che riprende ed esplicita un’esperienza che ha accompagnato tutta la missione pubblica di Gesù. Il suo ministero itinerante, infatti, è accompagnato fin dall’inizio all’esperienza di intensa amicizia che egli vive con un piccolo gruppo di persone che accettano di vivere la sequela. Tra il Maestro e i discepoli non vi è solo un legame di natura dottrinale ma un vincolo affettivo che abbraccia tutta l’esistenza. Gesù di Nazaret non chiama solo a fare qualcosa per Lui ma a stare con Lui (Mt 4, 18-20). Egli vuole costruire un legame personale, una vera amicizia. Gesù non si accontenta di essere un maestro, vuole diventare un amico. Non vuole soltanto consegnare parole ma condividere la vita. Accogliere la fede non significa imparare qualcosa ma entrare in una relazione sempre più intima e coinvolgente con il Figlio di Dio che gradualmente ci svela tutta la verità di Dio, come precisa Giovanni: “ tutto ciò che ho udito dal Padre mio l’ho fatto conoscere a voi” (15,15).
La parola evangelica ha un’inevitabile ricaduta sul modo di vivere l’esperienza ecclesiale. Il modo di vivere il legame con Gesù plasma anche la relazione ecclesiale. Nella luce di questa rivelazione possiamo definire la Chiesa come la comunità degli amici di Dio. La fede autentica genera e sostiene intensi legami di vera amicizia, è intessuta con l’esile ma tenace filo dell’amicizia. Vivere la fede significa accettare la sfida della comunione fraterna. L’amicizia in questo caso non appare come una necessità di ordine sociale – nessuno può stare da solo! – ma come una vera vocazione, cioè una chiamata che traduce l’esperienza di fede e diventa la prima forma di quella testimonianza che siamo chiamati a dare al mondo. Un’amicizia pienamente umana ma al tempo stesso tutta orientata a Dio, un’amicizia dove ciascuno sostiene l’altro nel cercare e fare la volontà di Dio. È la grazia che oggi chiediamo.
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