
Gesù non toglie la croce
di don Silvio Longobardi
Dal Vangelo secondo Marco (Mc 9,30-37)
In quel tempo, Gesù e i suoi discepoli attraversavano la Galilea, ma egli non voleva che alcuno lo sapesse. Insegnava infatti ai suoi discepoli e diceva loro: «Il Figlio dell’uomo viene consegnato nelle mani degli uomini e lo uccideranno; ma, una volta ucciso, dopo tre giorni risorgerà». Essi però non capivano queste parole e avevano timore di interrogarlo. Giunsero a Cafàrnao. Quando fu in casa, chiese loro: «Di che cosa stavate discutendo per la strada?». Ed essi tacevano. Per la strada infatti avevano discusso tra loro chi fosse più grande. Sedutosi, chiamò i Dodici e disse loro: «Se uno vuole essere il primo, sia l’ultimo di tutti e il servitore di tutti». E, preso un bambino, lo pose in mezzo a loro e, abbracciandolo, disse loro: «Chi accoglie uno solo di questi bambini nel mio nome, accoglie me; e chi accoglie me, non accoglie me, ma colui che mi ha mandato».
Il commento
“Essi però non capivano queste parole e avevano timore di interrogarlo” (9,32). Le parole che annunciano la passione lasciano i discepoli sbigottiti e disorientati. È una parola che sconfessa ogni loro attesa. Per questo reagiscono con imbarazzo. Sappiamo quel che accadde dopo il primo annuncio: Pietro tentò di correggere il Maestro ma ottenne un durissimo ammonimento (8, 31-33). Per evitare di ricevere altri e forse più severi rimproveri, questa volta preferiscono la via del silenzio. Non manifestano alcuna reazione e non chiedono ulteriori spiegazioni. Come se fosse pacifico. In realtà hanno paura di capire. Non vogliono guardare in faccia la realtà. Inutile scandalizzarci. Avremmo fatto così anche noi. È la reazione più istintiva. Facciamo fatica ad accettare le tenebre: quando non comprendiamo la verità tutta intera, quando le nostre domande rimangono senza risposta o quando ci scontriamo con una malattia che consuma il nostro corpo. La sofferenza non fa parte della nostra agenda, appare come un ostacolo. E invece, dal ritmo della natura dovremmo imparare che tenebre e luce sono come due sorelle inseparabili. Veramente beato è colui che impara a vivere nella luce anche quando si trova nelle tenebre, come dice il salmista: “Per te le tenebre sono come luce” (Sal 139, 12). Dio è presente ovunque, anche nei luoghi oscuri. Anzi, la tradizione spirituale ricorda che proprio quando calano le tenebre, Dio accende le stelle più luminose.
È un’arte che i santi conoscono molto bene. È questa l’esperienza di Teresa di Lisieux che abbraccia con amore le piccole croci della vita come un dono di Dio: “È la croce, solo la croce che ci dà per riposarci…”, scrive alla zia. Avrebbe voluto pregare per chiedere a Gesù di allontanare certe amarezze ma scopre che non è questa la volontà di Dio: “Gesù amava troppo la mia cara zia per toglierle la croce!…” (LT 67, 18 novembre 1888). Oggi chiediamo la grazia di apprendere questa fede che permette di fare anche della sofferenza un grembo fecondo.
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